Tanto avrebbe pagato mamma più tardi, finito di imbiancare una casa, la sua, aveva lasciato il chiodo al tabaccaio della magra, una sorella maggiore acquisita che aveva vissuto con lei il cambiamento fisico, il progredire faticoso della normalità, e accompagnato sbattendo i filtri del caffe nella macchina espressa tutte gli scogli della guarigione dalla, che non si era mai consumata e bruciata del tutto come una cisti che si riforma sotto pelle, bussava ogni giorno alla sua porta ed era tanto doloroso dirle non c’è posto per te, neanche oggi, torna un’altra volta, con il tifo inaspettato della varietà di consumatori di colazione che tutte le mattine si ritrovavano davanti a raccontare di sé, ma più spesso a chiedere di lei, quella ragazza con viso dolce, quanto avrà, neanche vent’anni, l’ho vista a dicembre, era così magra, e così triste, e guardala adesso, a premurarsi per qualcuno, c’è l’hai il fidanzato, doveva sempre dire di no. Di no o quasi. Appena le vedeva sfilare dalla tasca il pacchetto di sigarette la rimproverava, si era armata di caffè da asporto nel caso lui le avesse risposto all’sms prima che diventasse freddo e barcollando con una mano occupata a reggere la tazzina di carta dritta e con l’altra la sigaretta si era diretta senza troppe speranze verso i giardini lungo l’Arno. Poi lui le aveva risposto nello stesso istante in cui si era messa a sedere sulla panchina e con la velocità di chi ha paura di perdere qualcosa si era alzata come accarezzata da uno scheletro dietro le spalle ed era andata a suonargli il campanello, com’era vicina casa sua, due passi sotto il sole, lo aveva guardato dritto per imprimere la luce nel verde degli occhi, non c’era tempo di farsi le ciglia o di spalmarsi il fondotinta, e in fondo faceva caldo, ed era mattina, e poi non erano solo amici? Era permesso? Entrò appiattendosi e tirando in dentro la pancia dallo spiraglio del cancello di ferro che si apriva solo a metà e allungò il braccio in avanti per mettere la tazzina di carta in primo piano, come fosse quello l’unico sacro legittimo motivo di essere venuta, guarda cosa ti ho portato! Lui stava prendendo il sole nel cortile, ancora vestito da notte, le disse che si era appena svegliato, che non si aspettasse che le sue ascelle puzzassero di una verdura più nobile della cicoria, che naturalmente era la benvenuta, che si mettesse a sedere, notava sul suo petto alcuni peli arricciati che erano diventati bianchi dall’ultima volta che l’aveva visto, erano passati dieci anni, forse per lei niente era cambiato, aveva rivoluzionato la sua vita per tornare al punto di partenza, ma non poteva impedire che anche lui avesse vissuto, e che la vita aveva preso per loro delle altre decisioni, fatto altri programmi. Aveva dei problemi con la mancanza d’ispirazione, un blocco creativo, e aveva voglia di parlarne. Gli passò l’accendino e grattò diverse volte sulla rotellina per riuscire a farlo fiammeggiare, c’era vento, e c’era molto silenzio, la benzina aveva quasi un suono più che un odore. Diceva che il dolore di non riuscire a scrivere era simile alla fine di una storia d’amore, teneva una distanza di sicurezza per fare posto a quella che si preannunciava una frase solenne, quasi l’aveva cercata apposta per fraintenderla. Tutti i grandi scrittori, a meno che non abbiano dei ghostwriter, o che non scendano a compromessi a svantaggio della qualità, hanno avuto momenti, a volte anni, di mancanza d’ispirazione e di genio, e poi è tornata, come se lui si fosse messo lì sotto la siepe a prendere il sole e a fare altro, e lei gli aveva detto, e nel frattempo cosa fanno? Aspettano. Così succede nelle storie d’amore, a volte si aspettava una vita. E nel mezzo si scopre che si può essere dei buoni impiegati, delle ottime maestre, delle persone gentili. E di essere amati dal resto del mondo. Così avrebbe istigato al suicidio i suoi scritti? O si poteva fare un patto con sentimenti meno estremi, meno cruenti e sanguinosi e stringere il sedere per passare tra le porte aperte a metà. Mandami le tue poesie, è un inizio. Voleva ancora cercare di capirla, se le chiedeva la parte che le era piu estranea, nonostante fosse passato un decennio dalle poesie adolescenziali che lasciava incompiute sul Mac aperto, che lui le aveva un tempo deriso, il fiume dal misero aspetto gli prospettasse ora davanti l’estate e il mare, pensò che porgergli un nervo così scoperto avrebbe aiutato a togliere il dente. Sentiva squillare il telefono da dentro l’appartamento, e davvero non voleva curiosare, sapeva tutto e vinceva la resistenza delle ipocrisie, cosa vuoi tu dalla vita, oltre a me?, per cui prese la borsa e spinse dentro di sé l’impulso di stringerlo stretto, le fece male all’esofago, e poi lo fece lo stesso, si era rasato la faccia, la girò a destra perché lo stampo delle sue parole non fosse a portata di labbra, ma lei avrebbe raccontato un’altra storia, tanto prima o poi qualcuno avrebbe pagato anche per ogni amore che finisce e anello che si stringe.
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