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Ma quanti ex hai avuto? due, tre, dai

Non avrebbe mai creduto che certe coincidenze sarebbero accadute solo alzandosi e andandosene. Stava addormentandosi ascoltando il dibattito al corso di scrittura con Andrea Cortellessa che aveva curato l’Antologia dei Narratori degli anni 00 e si stava chiedendo quale fosse il suo posto non solo in un libro, ma anche nel mondo. Si mise a scrivere i cavoli suoi sul blocchetto di cui l’avevano dotata. Non aveva pietà né per se stessa né per gli altri quando scriveva. La forma breve delle sue azioni era il modo più onesto che conosceva per presentarsi. Sistemò le gambe incrociate sulla sedia e lasciò che i tacchetti dei suoi stivali si sfiorassero tra di loro rivolti verso la pancia, le si erano intorpiditi i polpacci e cercava di collezionare mentalmente figurine per un album che la rappresentasse e che non vendevano alla coop, lungi dall’essere interessata dalla fama e dalla notorietà altrui, preoccupata di contenere l’impulso famelico di assumere un contorno degno di qualunque considerazione anche fosse il fastidio. Affondava nella noia e si diceva che il tempo doveva pur passare, se correva così veloce sulla sua pelle da farla ingrigire giorno dopo giorno, poteva cristallizzarsi adesso come un’incudine che minacciava di cadere ma manteneva un costante equilibrio d’orrore sopra la sua testa? Un attacco di panico sarebbe stata una botta di vita invece il nuovo dosaggio della medicina la manteneva pesantemente calma e ignara di quello che sarebbe successo, inattaccabile dalle paura, anche le più periferiche che la coglievano fino a qualche giorno prima quando non riusciva a tornare a casa se non sbronza, ora pericolosamente sobria, si sistemò in una posizione sulla sedia pochi minuti prima della fine del corso, a metà tra lo yoga e il crocifisso, prese il mento nella mano, e si addormentò col gomito poggiato sopra il suo racconto. Quando arrivò finalmente l’ora di liberarsi del suo doloroso anonimato, si era sentita chiamare da dietro dall’ex dell’ex del suo ex che urlava Betty, Betty, quando arrivò l’ora e lei si alzò e uscì dalla sala del corso di scrittura, era stata improvvisamente avvolta da sensazioni contrastanti, molta sorpresa, un po’ di gioia, un po’ di rimprovero, dove era finito per tutto quel tempo che lei era stata male, che lei era stata in ospedale, neanche un sms le aveva mai mandato, e ci aveva passato quasi un anno, in psichiatria, e lui li aveva vissuti bene con frustrazione è vero e scoramento ma tanta passione i suoi problemi, ci aveva convissuto anche lui accanto nel letto con la pelle viva dell’anoressica, della bulimica, dell’alcolizzata, della maniaca che gli suonava il campanello la notte completamente sbronza per dargli di stronzo–pagherai-per-tutta-la-vita perché una volta a diciottanni era andato con una puttana ad amsterdam come magari facevano tutti, ma erano più furbi da non dirlo, insomma quel moncone che quando stavano insieme cresceva dal tronco di lei dove era andato quando le levavano le sigarette e gliele chiudevano a chiave nello scatolotto sparpagliate in mezzo a quelle degli altri pazienti, mentre aspettava l’ora di distribuzione, mentre guardava come uno zombie i messaggini che comparivano sotto ai video di mtv la mattina, perché non c’era lui che preparava il caffè forte e che usciva a comprarle la broscina fresca ogni mattina mentre lei si svegliava e si lavava pigramente, mentre scriveva qualche post-it da liceale da appendere sulla cappa del fornello per quando lui tornava, si ricordava tutto insieme della sua vespa, del casco malridotto che le stringeva sul capo prima di montare sul seggiolino bagnato sotto la pioggia, dei suoi commenti sempre perplessi e sardonici sul suo abbigliamento da teenager quando non aveva certo più ventanni, delle gite in libreria e della sua aria saccente nel cardigan messo senza camicia, l’assalivano da quando si era girata e l’aveva visto, orsacchiotto presuntuoso come prima, l’aveva stretta a sé, e le aveva lasciato un surrogato di speranza. Prima o poi, a forza d’odiarsi, s’imparava ad amarsi.

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21 commenti su “Ma quanti ex hai avuto? due, tre, dai
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  1. tesoro, degli ex ricorda solo i momenti belli…
    il resto non ricordarlo… lascia gli ex agli ex… 😀
    e, se ricordi solo le cose brutte… allora, compatisci la nuova compagna dell’ex 😀 😀 😀
    scusami… il mio commento è senza senso 😛
    boh 😀 😀
    bacioneeee bellla 😀

  2. Racconto scritto mirabilmente , cara Elisabetta ,ma angosciante..Immagino un reparto di psichiatria di un ospedale generale per tanta degenza! Ma chi richiese il TSO ?? E così tante proroghe..! Cara, gli ex sono ex e basta ; volta pagina e sempre forza mò!

    1. allora, la storia è lunga, ho avuto una specie di tso forzato perché non mangiavo più e quello che mangiavo anche una briciola di biscotto lo rivomitavo, quindi per tenermi in vita con la pompa (alimentazione parenterale prima, per -tubo nello stomaco- dopo) gli ci è voluto circa un anno visto lo stato in cui ero ridotta avevo le transaminasi a 4000 -giuro- non sanno neanche loro come il mio corpo abbia retto…poi piano piano galletta dopo galletta ho ricominciato a mettere in bocca qualcosa, pappine, marmellatine, miele… ma ci è voluto un anno perché il mio corpo si abituasse a ricevere cibo, il ricovero così lungo era perché non uscivo mai dallo stato di allarme sopravvivenza, credo di averlo anche scritto che mi legavano dopo mangiato per evitare che vomitassi anche nel lavandino della camerata.. ecc ecc… poi piano piano scriverò tutto…

      1. Grazie per la tua esaustiva risposta , cara Elisabetta , e so bene come come le forme anoressiche gravi mettano in serio pericolo la vita! Un trattamento indispensabile , quindi, che ha fugato il timore di qualche improvvida richiesta di TSO! Perdona la mia curiosità , carissima , ma un pò per deformazione professionale , avendo diretto amministrativamente ospedali psichiatrici e ospedali generali per oltre 40 anni. E ti assicuro che ora sono più contento quando parli, con gran competenza , di piatti golosi!! Forza mò sempre , mia cara!

        1. sempre forza mò, ahò! sì io sono stata in fin di vita per un anno quindi era un dovere per loro tenermi in vita anche con “le cattive” come le chiamo io, legandomi o forzandomi la nutrizione direttamente con la peg pompata nello stomaco, in teoria non era un TSO ma era a tutti i diritti una cosa molto molto simile, anche dovuta forse a una scelta etica e morale di un certo psichiatra…altri mi avrebbero lasciata marcire e morire nel mio vomito. invece hanno voluto insistere, e tiè, sono qui 😉

          1. Da come mi racconti ,cara Elisabetta , hanno non solo forzatamente insistito a curarti , ma hanno ottenuto risultati grandiosi ,viste le condizioni di gravità eccezionale ! E non è cosa tanto comune un comportamento etico e professionale così, conoscendo bene l’ambiente medico e ospedaliero! Motivo di più ,mia cara, per insistere nel miglior stile di vita ! Per cui.. ancora forza mò! Dolce sera !

            1. Grazie Lucio, le tue parole mi incoraggiano molto… Troppe volte ho pensato che sarebbe stato meglio per tutti anche per i miei se fossi morta l’anno scorso quando mi prese l’infarto.. C saremmo tutti risparmiati un anno di agonia… Forse lo sai, ma la psichiatria generica e’ pesante e ti segna parecchio.. Un dolce abbraccio. Fortuna che ora sono così golosa, credimi!

              1. Cara Elisabetta , mi rende felice che le parole dette (o meglio scritte) ti siano di incoraggiamento.Ho diretto amministrativamente, per circa 5 anni l’Ospedale psichiatrico dell’Aquila e proprio negli anni delle rivoluzione Basaglia e so cosa significa entrare in un reparto di psichiatria (Era peraltro consuetudine far visita ai degenti la sera della vigilia di Natale e ti assicuro che tornando a casa non avevo tanta voglia…di cenone !). So bene la pesantezza di tali ricoveri.Fortunatamente ora sei felice di essere golosa ( e che competenza in materia , perbacco ,mia cara!) e pian piano ,insistendo su tutte le buone abitudini di vita , ti accorgerai quanto valga la pena di vivere bene! Un abbraccio dolce a te e sai che ci sono a dirti (o meglio scriverti) forza mò!!

                1. allora puoi immaginarti lo strazio della qualità della vita dalla parte di un ricoverato. Quest’esperienza comunque mi ha insegnato molto anche in positivo… diciamo che ne ho viste passare talmente tante e tutte diverse che posso dire di essere davvero più tollerante rispetto all’umanità di quando sono entrata, e sicuramente ne sono uscita più forte. vojò dì, ma chi m’ammazza a me ora? 🙂 grazie come sempre dei tuoi commenti sei davvero una presenza gradita qui

                  1. Certo mia cara , non solo immaginato , ma vissuto con loro le inerenti esperienze ! Ti capisco quindi e sono esperienze che segnano molto , ma al tempo stesso fortificano e giustamente dici ( e questa tua frase mi fa veramente piacere) : chi m’ammazza mò!!
                    Quindi continua a tener duro e se ti fa piacere la mia presenza da te , ben volentieri ci sarò a farti compagnia! Dolce sera , carissima!

                2. …quel moncone che quando stavano insieme cresceva dal tronco di lei…
                  perdonami se non commento, spesso non so cosa dire, ma amo quello che scrivi e come lo scrivi.

                3. Che bello… ti lascio questo piccolina
                  Pensiero,io non ho più parole.
                  Ma cosa sei tu in sostanza?
                  qualcosa che lacrima a volte,
                  e a volte dà luce.
                  Pensiero,dove hai le radici?
                  Nella mia anima folle
                  o nel mio grembo distrutto?
                  Sei così ardito vorace,
                  consumi ogni distanza;
                  dimmi che io mi ritorca
                  come ha già fatto Orfeo
                  guardando la sua Euridice,
                  e così possa perderti
                  nell’antro della follia.
                  Alda Merini, da “La terra santa”

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