Era andata meglio del previsto, lei pensava che l’avrebbe ricoverata di nuovo tra i matti, al suo posto insomma. E invece lo psichiatra era stato più comprensivo di quanto avrebbe immaginato, l’aveva rassicurata e incoraggiata nelle sue difficoltà, l’aveva benevolmente ammonita di compilare il diario alimentare, stimolata e impegnarsi di più, a bere di meno e solo ai pasti, non quando diavolo l’ansia gli saliva alle stelle, e lei gli aveva confessato di aver bruciato i pantaloni, in un attimo di pura lucidità, e che anche quelli che si era messa addosso quella mattina rimanevano con il bottone sganciato. Lui le aveva parlato dei suoi figli, di come la sentiva quasi amorevolmente ormai una di loro, o una zia un po’ pazza che vagava qua e là fuori e dentro dagli ospedali, su e giù dai tram, arrancando per la ripida consapevolezza di non esser più tanto giovane, ma un po’ sfiorita e scolorita, e lei si era sentita coccolata da quelle parole, quasi che per la prima volta ricamassero un merletto intorno alla sua figura e le dessero per la prima volta una piega, un contorno, un orlo d’un tovagliolo, indipendente dalla tovaglia dei suoi genitori. Si ripromise di fare del proprio meglio, non per farlo contento, né per fare contento suo padre, la contentezza degli altri era forse davvero un fattore indipendente da lei, non poteva manovrare il mondo, né truccarlo, ma solo cucirlo con le sue dita affinché incorniciasse un vestito comodo per la sua nuova umiltà. Non era mai stata umile e onesta, nemmeno con sé stessa, prima d’allora. Dopo lo psichiatra si sentiva così bene che decise di chiamare il muratore, o era un imbianchino, non se lo ricordava, ma ora il suo nome lo ricordava, e il telefono era quello giusto, la sera precedente le aveva risposto sommessamente a un suo messaggio e le aveva scritto che le avrebbe offerto volentieri un caffè, un caffè non lo poteva proprio rifiutare, c’era un sole luminosissimo, la giornata era splendida per fare un giro in centro prima di andare a mangiare al vegetariano col babbo, lui era pieno d’acciacchi, le disse che non lavorava, lei gli disse che nemmeno lei, che aveva la pensione, ah però e quanto ti danno? poco, gli rispose, mentre camminavano, lui si protendeva in alto come un colosso, non si rammentava fosse così alto ma ora sì, sfiorando la sua giacca e non arrivando all’altezza del gomito, sentì tutto il vecchio candore di poeta squattrinato, oblungo, un po’ patetico, ma molto dolce. L’avrebbe richiamata, per andare a mangiare qualcosa ora che no, non vomitava più come quando l’aveva conosciuta, ormai erano tanti mesi a parte qualche ricaduta, e lui se ne felicitò dicendo che era davvero una bella e buona cosa. Al vegetariano ordinò il polpettone di cereali al sugo con tofu, legumi e bietola saltata e disse al babbo che quel cibo bello e buono le faceva bene all’anima, e anche lui le disse che era una bella e buona cosa, con uno sbuffetto dovuto al lento ingozzarsi di polenta pasticciata. Una cosa che avrebbe preso senso, quale fosse ancora non lo sapeva.
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per non parlare del libraio…
…una cosa che ha già senso di per sè.
(cavolo come mi piace come scrivi, piccola…prescindendo… oppure senza prescindere…)