La brioche e il caffellatte
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Era strafatta di burro. Era soddisfatta di avere speso i suoi ultimi soldi per fare colazione da McDonald, anche se non c’era la mamma a tenerle compagnia mentre si riscaldava le mani con la tazza di carta di caffellatte, era così contenta di avere la pancia piena di quella brioche sfogliata all’esterno e densa di pasta cruda integrale all’interno, contenta di aver mangiato e di non esserci andata a bere, con quegli spiccioli. Coi soldi che avanzavano entrò per ripararsi dalla pioggia in un 99centesimi e si comprò un blocchetto da borsa e una penna di winni the pooh, si mise al tavolino accompagnata dall’eco della mamma che risuonava ad ogni piccolo sorso della miscela marroncina, adagio, perché bruciava, si ricordava a breve termine delle colazioni in tarda mattinata al mc perché doveva prendere due autobus per arrivarci e prima incontrarsi fuori con lei e sfumacchiare lentamente una sigaretta implorandola di andare a comprargliene un altro pacchetto per allungare il tempo di attesa di quando avrebbe azzannato l’angolo bruciacchiato della brioche appena uscito dal finto forno della finta caffetteria del finto mc. Era andata soltanto una settimana a Palermo, ma anche se si sentivano per telefono ogni giorno, le mancava già tanto, il suo incoraggiamento prima di andare dalla psicologa, le mancava farsi trovare quella mattina sobria e lucida e pronta al dialogo, a mangiare, a ragionare, a spettegolare sul babbo, ma soprattutto a farsi fare i regali, dio quanto le piaceva farsi fare regali, fare shopping per farsi comprare coi soldi che sembravano non avere fondo quando c’era lei di mezzo, l’affetto che non riusciva a ricevere con la sola presenza, le parole, la stima, i gesti. Era così scostumatamente acquistabile, il suo amore, lo era sempre stato, fin da piccola, lo ricordava nei minimi dettagli il prezzo dell’amore, le succedeva coi balocchi, le sue bambole sempre festosamente agghindate e pettinate, le tende preziose con cui riparava il suo letto incassato nell’armadio come una tana, visto che le stanze di casa non avevano chiavi, non potevano essere chiuse, le forbici nascoste astutamente insieme al diario segreto nel fondo-cassetto della scrivania -la parte destinata all’umanità ovvero quella liscia, superiore, era monopolizzata dai libri di lingue della sorella-, i milioni di lettere d’addio al mondo crudele scritte a un età in cui si dovevano frequentare gli amichetti, invece che le brutte compagnie come lo specchio. Le succedeva adesso coi libri, con le scarpe, coi maglioncini, con gli accessori, con gli shampoo di erboristeria e i balsami per un corpo che ingrossava visibilmente sotto gli occhi di tutti e che lei non poteva più sopportare di osservare non potendosi più tranquillizzare afferrando le ossa del bacino con le mani e tenersi salda quando la vita, le emozioni intorno a lei sobbalzavano, in sincopato col cuore, come un autobus in corsa su una strada accidentata durante un giorno di pioggia. Le succedeva coi vestiti, per fortuna così pesanti e austeri per l’autunno/inverno, dentro i quali poteva ora nascondersi, sfuggire all’interno d’un cappottino così rosso vistoso che poteva benissimo sparirci. Le succedeva con gli ombrelli, che lei si scordava a casa ogni volta inconsciamente, perché lei adorava tornare a casa bagnata fradicia, il cappotto zuppo diventato bordeaux, infreddolita, bisognosa d’una nuova doccia, d’un ulteriore imbalsamazione e sepoltura del poco vissuto. Le succedeva con il cibo, con la pizza il sabato sera, con tante melanzane tanto radicchio e tanta cipolla, con il tofu fritto, ce la dovevano portare per forza alla pizzeria o dovevano stare attenti all’olio che sfrigolava nello wok ma non troppo tardi la sera, altrimenti c’era sempre la pizza a risolvere le situazioni, era un rituale scaramantico, allora sì che mangiava con appetito. Le succedeva di farsi comprare per comportarsi bene, sorridere onesta con se stessa e con gli altri, soddisfarsi e soddisfare scrivendo, frequentando il teatro, leggendo un libro, guardando un film, non saltando i pasti, non vomitando, non bevendo, trascorrendo i giorni che passano solo imparando a piccoli passi ad amare. Se tutto questo era acquistabile, allora lei era in vendita.

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3 risposte a “La brioche e il caffellatte
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  1. Avatar ゚・❤ EleOnora ❤・゚

    un abbraccio 🙂

  2. Avatar Endorphin

    Volevo ringraziarti per essere passata dalle parti del mio blog.
    E che in questi giorni ho letto un pò di post a ritroso per cercare di capire meglio quello che scrivevi negli ultimi post.
    E poi volevo dirti che posso capirti anche troppo bene quando scrivi “tranquillizzare afferrando le ossa del bacino con le mani”, perché lo faccio sempre anche io.
    Un caro saluto,
    Alice

  3. Avatar Barbara

    sono perplessa.
    come ti senti, veramente?

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