Siamo venute tutte qui. C’è Amy, Annie, Andie, e io. E quattro stanze impregnate dell’odore di un sugo zuccherino attaccato alla casseruola. Ha scelto fino all’ultimo i pomodori nostrani. Le ombre sono così intense che sembriamo in otto, qua dentro. C’è un sole troppo splendente e senza filtro per un funerale, uno s’immagina di osservare da lontano un corteo, lento, qualche volto velato di tristezza, ma non troppa, nella pioggia, quattro uomini dallo sguardo fisso a un punto immaginario nell’infinito, un infinito che finisce quattro metri più avanti, che avanzano con indosso tutto il peso della vita che ci ha risparmiato, delle fatiche che ha consumato al nostro posto. La mamma è morta, e non c’è proprio più niente da fare. Per noi, dico. Per tutto il resto, c’è sempre tanto da fare, direbbe Annie. Anche se io rimango vuota, perché l’unica cosa che facevo era curare la mamma. Al funerale siamo quattro gatti, sembriamo venute per prendere il sole, sbrighiamo il nostro dovere in quattro e quattr’otto, abbiamo abiti diversi, ognuno estivo a modo suo, tocco i fiori antichi di Amy che sembrano schiudersi sul suo corpo magro, ma Andie è molto coperta, si vede che vuole mascherare la pelle che stava abbrustolendo su una spiaggia greca. Dice che ha dovuto volare atraverso quattro nazioni diverse per raggiungerci in fretta. Annie è avara di colori, ma non oserebbe mai spiccare di nero tra noi. Lei non oserebbe mai essere arrabbiata, con noi. Io sono molto grassa, e al ricevimento mi abbuffo, penosa, con l’aria da deficiente osservo le coscette di pollo da dritto e a rovescio, per i nervoso che mi è venuto ad aver assolto il mio il mio compito, aver finito con lei, mi trovo davanti quattro facce tirate e penso lo sto per dire: tante cure e poi è morta, lasciandomi nella merda, ma ripiego subito questo pensiero in un angolino del cervello, lo scaccio via e lo schiaccio come una zanzara fastidiosa, averle chiamate qui, aver chiuso a chiave un capitolo che era il mio unico capitolo, una breve introduzione, qualche padella da sciacquare e lavare, e subito le ultime parole, una pagina unta d’olio, aver disdetto il contratto telefonico e le bollette, tutto con gran fatica, quella fatica quando le commissioni le fai per uno che non ti chiederà mai se le hai sbrigate, che è quello il loro senso poi, no. Quando la mamma era viva ero sveglia, attenta, celere, infaticabile, possibile che ora mi sia rilassata? Non mi azzardo a dire libera, perché la libertà è il mio epilogo. La mamma non se ne è andata velocemente, ma non è riuscita a farci amare, nemmeno ammalandosi, e questo rammarico credo se lo porterà anche oltre la morte, anche se lei diceva che avrebbe sistemato tutto, prima di morire, ve ne andate tutte e quattro in crociera, ragazze! Ho deciso! perché non ci sarebbe stato più tempo, non ci sarebbe stato più niente, e saremmo rimaste noi, e il nostro sangue bruciato come il sugo nella pentola e basta, l’unico filo a farci ritrovare qui, così imbarazzate che fatichiamo a darci del tu. Le vostre vite rimmarranno inconciliabili, perché solo lei ci univa, solo lei ci sapeva trattenere una giornata a tavola intorno alle sue lasagne, o al sugo della nonna, troneggiando sui suoi cuscini ricamati ricalcando quei quattro peli che è il nostro gatto, levandoci le lische dal piatto una per una, tutto per quattro volte la stessa identica operazione chirurgica, bevendosi lei tutto il veleno che sprigionavamo per non farci soffocare dai serpenti che ci uscivano dagli occhi non appena ci vedevamo, che poi era un ricordare la mamma che ricordava la nonna che a sua volta ricordava la bisnonna, e così, chissà che sapore aveva la pasta al sugo nell’età della pietra. Tutte volevamo la mamma, e forse nessuna di noi l’ha mai avuta. Il suo cadavere mi strizza l’occhio da dentro il cristallo che forma la parte superiore della bara, non c’è nostro padre a consigliarci la bara giusta, appropriata, consona, discreta, trattenermi dal dispetto che ho voluto fare, e così ne ho scelta una pacchiana, mi fa notare Andie, proprio così, una brutta bara grassa e pacchiana, così avrebbe potuto strizzare l’occhio anche a loro, lo so che come sempre non ho prestato attenzione a quello che voleva per noi, lo so che lei voleva diventare cenere e essere rilasciata in mare, sparsa nelle molecole uterine del luogo che l’aveva vista nascere, e perdersi nel chiacchiericcio fitto di un paese che non l’aveva mai conosciuta, per incenerirci con lo sguardo un’ultima volta se avessimo osato litigare per la scelta della latitudine in cui ci saremmo distaccate per sempre, così da mormorare ai quattro venti: sento puzza di bruciato.
Quattro modi di dire Noi0 (0)
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L’ho letto tutto d’un fiato..non so se c’è qualcosa di vero nella storia che racconti ma ti assicuro che somiglia molto alla mia vita…
Ti ringrazio per essere passata da me!
Ti seguo volentieri!
In bocca al lupo
Valeria
p.s Torna a trovarmi
http://ledeuxmoi.blogspot.it/
Ma quanto sei brava?!
Grazie aquilotto!
Acquilotto? *-*
Yes 🙂
Aaawwk aaaaawk
Chissà perchè le quattro mi danno idea delle sfaccettature di un’unica persona. Ribadisco: scrittura sublime. Un libro ci può stare. Ti abbraccio.
Notevole… grazie. 🙂
Grazie a te 🙂
Racconto bellissimo!! Una conferma.
Amy, Annie, Andie, e io (Alicia) … c’è un nesso?
Non c’è un nesso consapevole, no
Quanto mi piace leggerti… ti abbraccio cara!!!!
Grazie tesoro!<3
Grande, come sempre <3 Un abbraccio forte forte!
Grazie mia adorata Vale!