Sono stufa di nuotare in un’area delimitata dalle sue regole. La piscina mi scarica, sento che non ne potrò più fare a meno, come della psicologa. Il babbo naturalmente dice che non mi servono a niente, nessuna delle due, ma per il babbo va sempre tutto male, devo smetterla non posso più pensare con la sua testa se no finisco per spararmi un colpo nel cervello. L’altro giorno gli chiesi conferma se era contento di me, se era orgoglioso di sua figlia, di come sto affrontando la guarigione, seppure tra alti e bassi, in fondo sono uscita da una malattia che per molti purtroppo diventa cronica, da un tunnel psichiatrico durato più di dieci anni di cui gli ultimi due quasi di fila rinchiusa in un ospedale, di deperimento e deterioramento relazionale, di avvilimento spirituale, di vibrazioni che precedono la morte e lui: perché, che c’è da essere contenti? Grazie, babbo. Tu mi fai sentire orgogliosa di me stessa. E allora comincio a pensare, ma se io lo faccio per lui, se ho sempre fatto tutto per lui, se lui diventa la cosa più importante, e poi non è mai contento comunque, e se quello che conta è alla fine la sua opinione, se tutto quello che dice è oro colato, se dipendo dal suo giudizio, dalla sua insoddisfazione, dove finisce lui e dove inizio io? La gioia dei piccoli traguardi svanisce con il suo malumore, si perde nel suo pessimismo, il mio entusiasmo si confonde e sfuma nella sua cupezza. Devo smetterla, davvero. All’inizio l’acqua è pesante da spostare ma se mi sforzo riesco a riscaldare il mio cerchio magico di onde concentriche, come i muscoli sono i miei, non entra lui nell’acqua fredda insieme alle galline lesse del mio corso, anche il mio cuore dovrebbe appartenere solo a me, è ora che me lo restituisca e lo lasci navigare lontano da lui. Se io voglio essere felice, posso anche non chiedere il permesso.
Dimmi tutto!