Sono stata in chiesa ad ascoltare la novena e il prete mi ha dato l’assoluzione, oltre a regalarmi un vangelo destinato ai giovani, deve avermi scambiato per una diciannovenne in crisi mistica. Ho bollito il cavolfiore per il babbo e quando siamo tornati a casa dalla passeggiatina col cane abbiamo sentito l’odore forte di cavolo bollito e io ho pontificato che il puzzo di cavolo dà fastidio solo quando è quello degli altri, è un po’ come le curegge. Ho rifatto il castagnaccio e questa volta è venuto cotto e crepato al punto giusto, mi sono anche ricordata di metterci la scorzetta d’arancia, poi ho fatto una teglia di torta salata ai cinque cereali e okara che mi sono inventata lì per lì per finire gli ingredienti dal frigorifero prima di partire per New York. Vi dirò domani se non sono morta intossicata. Ho pranzato con la vicina di casa in un ristorante buonissimo vegetariano, ora come minimo mi devono pagare per avergli fatto tutta questa pubblicità. Sono stata incredibilmente bene forse anche perché ero appena uscita dalla psicologa e l’avevo assolta dall’essere una vicina di casa a tratti impicciona, a tratti invisibile. Ma mi ha fatto un regalo di natale bellissimo, col suo propormi la sua amicizia. Ieri facevo il pesto della dentista perché oggi invece devo andare dalla dentista. Sono stata dalla psicologa stamattina, le ho portato la marmellata di arance, noci, uvetta, pinoli e affetto e ogni volta che ci vado sto sempre meglio, lo vede anche lei. Ha apprezzato moltissimo il regalo, mi è sembrato, lo devo dire alla mamma. Mi sono sfogata per bene e si è così rallegrata nel sentirmi stare bene che quasi apparivano magicamente i campanellini attorno alla sua testa a festeggiare le belle notizie ricevute. E’ stata un bene la denuncia, abbiamo concluso, perché mi ha dato uno stop duro, brusco, brutale, ma è stata la maniera forte, il colpo di manico che mi ha fermato nella follia alcolica che poteva ricondurmi nel baratro a breve. Sto invece d’incanto, senza preoccupazioni né schiavitù, anche se Gianni non ha tempo di uscire oggi, anche se il babbo mi guarda preoccupato ancora dopo trenta giorni che non bevo, anche se sono un po’ delusa, prendo tutto con la spigliatezza di chi sa cavarsela in ogni situazione avversa della vita, come una che ha vissuto l’inferno interiore e da quell’inferno non può che risalire, una matta deve guardarsi indietro e fare centomila passi avanti in più di una persona normale per scongiurare l’abisso, ma sono la prova vivente che ci si può fare, a convivere con la malattia psichiatrica, si può tenere a bada il mostro, si può ritornare ad amare e ad amarsi, ma chi me lo fa fare di rinunciare a mangiare quando posso permettermelo e devo permettermelo, il mio corpo è ora forte, bisognoso, assetato e affamato come un orto appena rastrellato, levata l’erbaccia, rimane l’hummus fecondo da piantare e curare, popolato da un universo di emozioni che possono contemplare l’io Elisabetta onesta e cresciuta che mi sto scoprendo, ma anche bambina gelosa della mamma e del babbo, permalosa, arrabbiata, purché contenute in un cassettino della mente che posso rovesciare addosso alla psicologa, di mercoledì, strotolando bobine di pensieri, trame, visioni e sogni che mi turbano la quiete come se facessi un suffumigio di smog andando in bicicletta sui viali, e coltivare quell’io Elisabetta che, buono, gioioso, naturale, probabile, infine stringe la mano ai suoi nemici.
Dimmi tutto!