Sono messa alle strette in questa situazione che la cioccolata e i pomodori sono veleno, che va oltre la depressione suicida, ilmondoèunamerdasietetutticattivi, che comunque continua a piagnucolare da qualche parete nascosta dietro i polmoni, sono libera di non entrare nei particolari, di non creare legami lucchettati, non sto poi così scomoda, certo è un limbo, una scintilla sperimentale, la vera vita inizia quando ti spogli dell’incontro di te stessa, ti circondi di un reticolato di regole e disciplina, ti fai una geografia locale, quando crei un personaggio che è il 100% il contrario di te, e ne scrivi un romanzo di trecento pagine, allora sei libera, allora gli spigoli aguzzi della rabbia fanno posto a un’espressione dolce, mite, anche quando sono pensierosa, anche quando sono contrariata, sembra che io stia sognando appoggiata su delle nuvole di zucchero. Oggi sono rimasta senza sigarette, ho avuto il fiatone per una mezzora, stare senza sigarette può indurre anche le menti più equilibrate alla follia, ma io non mi do pena perché parto da un considerevole livello base, quindi mi stendo su un letto di coperte bianche che emulano il candore, cullata da qualche pasticchetta psicotropa che altri pagherebbero per farsi prescrivere che agevola quel torpore, il cervello che si proietta e schizza in tante direzioni tutte diverse, che altri potrebbero tranquillamente definire una siesta argentina. Niente di male, no? Non aumenta la salivazione. Il corpo silenzia. E aspetto. Che ti credi che sono una nullafacente? Io ti osservo. Ho trovato le mie postazioni. Avere una mamma che si crede una ragazzina nel pieno delle rivoluzioni sessantottine ha i suoi vantaggi, puoi comandarla facendo forza sui suoi sensi di colpa. Il flusso di coscienza s’impenna imbizzarrito ogni volta che espiro, ogni volta che manco, scivolo in una prosa limpida dello stupore, sdrucciolano tutte le sillabe, nel mio sogno c’è una musica, in un paesaggio cui Baudelaire e Virginia Woolf si sposano e e lui non sprofonda nell’abisso dei sensi né lei ospita a casa sua un circolo letterario per poi, esausta dell’essere una sorella, perché Virginia, prima che una moglie, prima che una donna, era una sorella, penso che sia un avvenimento così letterariamente importanti da doverlo trascrivere, nel caso non mi restasse altro che le parole, poi torno di fronte al mac, reduce di una sessione full immersion nell’iperuranio platonico dove tutti gli scrittori prendono il tè insieme, coi piedi nudi accavallati sul muro del balcone, e zac, il vuoto, penso che un’altra sigaretta potrebbe schiarirmi le idee. E così via. Sempre ci comportiamo come se le cose, infondendo loro un valore affettivo con la loro ripetizione nel tempo nello spazio, con la loro brutta imitazione della nostra vita interiore, ricevendole, regalandole, creandole, costruendole, distruggendole, scaraventandole fuori dai balconi, appiccate nel rogo del nostro giardino sul retro, il sentimento che viene trattenuto dall’nucleo come i liquidi nell’adipe, l’emozione intessuta nella materia nell’istante in cui viene percepita dai sensi, fossero cose importanti. E lo sono. Non saremmo niente senza i nostri oggetti, anche il senzatetto sopravvive grazie al suo involucro di wuster plastificato cotto sotto il sole della panchina, e il suo cartone di vino poggiato a terra. Preso di peso, come un’entità, egli non è nessuno. Ognuno ha bisogno di una tana. Certo una come me comincia a divertirsi adesso, che è un po’ tardi. Certo ti sei passata i tuoi ventanni dentro a un’ospedale ma che vuoi, i ventanni in qualche modo bisogna pure passarli, non sei l’unica che non ha mai alzato la testa al di sopra di un libro. Certo non hai frequentato le mode, non hai vissuto proprio nella bambagia di una giovinezza regolare, tu hai visto i bassifondi al posto dei compagni di università, o dei colleghi di lavoro, tu hai avuto una schizofrenica come migliore amica, cazzo, devo proprio telefonarle se no mi tira uno dei suoi schiaffi, e mi spintona s terra e comincia a tirare calci nello stomaco, e dalla peggiore sofferenza e miseria dell’animo collettivo di 20 pazzi criminali compresso in centometri quadri ora sai distinguere il buono dal cattivo. Non sempre però hai fatto la scelta giusta. Anzi, essendo una povera pazza, il senso dell’avventura non ti manca. E non puoi dire di non essere stata amata, anche se per pochi istanti, da cervelli differenti che vedevano multipli di una te differente ogni volta. Puoi dire che hanno provato a conoscerti filosofi, scrittori, critici, poeti. Tutta gente veramente poco affidabile, ma che in me suscita più fascino della divisa. E ti rammarichi solo che non a tutti l’hai data. Avresti dovuto. Posso dire di essere diventata grande e colta grazie alle citazioni degli altri uomini. Gli aforismi sulle donne sono scritti per lo più da misantropi. O da uomini che amano troppo. Troppe donne insieme. Insomma un uomo che scrive qualche problema con le donne ce l’ha. Ma Io sono molto brava a lasciare perdere. A non attaccarmi agli oggetti. A trovare dei sinonimi per tutto. Che è molto sexy, se me lo dico allo specchio. Se io davvero riuscissi a voler bene alle cose, alle persone, non avrei sbrigato con tanta lucidita e fermezza il pianificato sterminio di mio figlio. Questo non significa niente dolore. Ma stento a dirlo. Una donna soezzata. Simone de Beauvoir? Una principiante. C’è qualcosa nel mio DNA che m’impedisce di portare a termine un lavoro, un compito, una gestazione, perché la cosa finita mi fa paura, diventa un pugno di atomi solitari, si permea di una vita sua, e diventa un oggetto su cui fare affidamento, su cui riporre delle aspettative, delle aspettative d’amore. Così, anche se ci sono vicina, non ingrasserò fino a diventare obesa, e non sono dimagrita fino a morire. Un libro si può amare all’infinito, ma il libro, le parole, o l’infinito, ti stanno amando nel frattempo? Storie della vicina di casa che viene a bussare alla porta mentre mangio il gelato e non ho proprio voglia di parlare dei problemi dell’impianto idraulico del condominio e si mette a chiuderci le finestre perché non vuole che il marito sappia che lei viene a spettegolare con noi di mia sorella che si meriterebbe di più dalla vita di quello che ottenuto facendosi un culo così, e io, che il mio culo ingrassa senza vedere futuro, non sculetto abbastanza, io sono qui che vivo il presente come mi hanno insegnato i miei tremilauomini, lecco il gelato, scrivo un post di merda, mi arrabbio e piango per la famiglia di Cucchi che oltre alla morte ha vissuto la beffa. Era malato? Chissenefrega, un malato non vale niente di meno che un sano, bruttistronzi, mentalità nazista, di rado mi toccano vicende da telegiornale. Questa sì. Come ogni volta che provo un’emozione, che ascolto una sorella parlare di dolore, mi viene in mente mia sorella che non mi è mai venuta a trovare in ospedale quando pesavo 30 chili ed ero legata a un letto attaccata a un tubo nella pancia, lei che sta per morire in Niger, che ci telefonano da un campo di soccorso innalzato nel mezzo del nulla, del deserto assetato, che è tornata con trecento pezzi di vetro infranto nella sua pancia, perché il pulman nel quale viaggiavano era deragliato e si era cappottato, il bacino rotto, la spina dorsale a pezzi, a letto per un anno imboccata a turno dalla mamma e dal babbo, tornata a vivere per forza di cose in una casa e in un’atmosfera che più non le apparteneva, sentendomi vomitare da una stanza all’altra, e penso che la mia famiglia è destinata a vegliare un letto candido, solo perché si è azzardata ad osservare un’eclissi di luna, buttandocisi di pancia.
Dimmi tutto!