Stavo meditando sui miei nuovi rotolini sopra i pantaloni dopo aver fatto la doccia e la colazione con la pappa di riso integrale al latte in ricordo del risolatte e caffellatte buonissimi che mangiavo a New York da Le pain quotidien, la mamma viveva a baguette e burro in quel posticino così vicino all’albergo e a pochi passi dai nostri cuori, il caffellatte delle nostre tazze non ci sembrerà mai più lo stesso, la mamma ci ha comprato anche due bottigliette carinissime di sale grezzo integrale grigio e pepe nero per rifinire la cucina della casa nuova in cui andrà ad abitare dopo che io mi sono trasferita definitivamente dal babbo, non c’è più ragione di vagabondare a piede e nanna sciolte in casa della nonna, la casa in cui sono diventata alcolizzata, la casa sempre poco pulita della nonna sul cui pavimento ho vomitato migliaia di euro di roba che adesso finisce regolarmente a ristorare il mio pancino e il mio corpicino, che, come mi dice Gianni, deve ancora triplicare nonostante io abbia già preso ben 14 chili da quando ero in fin di vita lo scorso capodanno, passato in medicina generale a salvarmi il fegato dall’automacellazione cannibale del mio organismo che aveva chiuso i ponti con la fame, con le sue funzioni vitali, scusatemi se torno sempre su questo punto, ma essere consapevole di essere qui in vita adesso a scrivere una specie di diario è ancora per me una novità, una quotidiana sorpresa, un quotidiano regalo che ho fatto a me stessa quando ho deciso di abbandonarmi alle cure, invece che riposarmi nella morte che era forse la strada più dolce e facile, ho deciso invece di faticare, di frugare con la testa da struzzo sottoterra per trovare le viscere della depressione più nera, ho deciso di provare dolore, di farmi spazio nell’utero della psiche e ho accettato di avere paura, di avere paura della me stessa malata e devo ammettere che non potevo fare altrimenti, qualcuno aveva già deciso per me che dovevo sopravvivere, sono un miracolo sudato della psichiatria, ora che la psichiatria l’ho abbandonata posso chiaramente dirlo: ci hanno messo un anno intero ma mi hanno salvata, insieme con i piccoli bocconi portati alle labbra dalle cucchiaiate sicure e fiduciose della mamma, che si sforzava di on far tremare le mani allungandomi la boccettina di acqua gassata dopo le croccantine ai semi di girasole che vendevano alle macchinette dell’ospedale, insieme alle sigarette fumate sotto i raggi calduccini che riscaldavano la pietra fuori nello spiazzo davanti all’ospedale, l’unica “gita” che potevo fare per affacciarmi al mondo normale e cominciare a sognarlo, piano piano, passetto dopo passetto, caffè dopo caffè guadagnato stando buona e non combinando pasticci nei miei due metri quadri di spazio vitale, fumando all’ora giusta, non rinchiudendomi nei bagni a vomitare nessuno sa come -ma io si, e so anche come non rifarlo mai più- anche quel poco di pappa vegana che scandendo le mattinate mi pompavano dentro lo stomaco, a fiotti di pochi grammi ciascuno per non sovraccaricarlo, rimpicciolito com’era diventato, con sempre maggiori responsabilità di aver cura dello scheletrino che ero, con un tubo che mi ciondolava ancora dalla pancia, sempre meno vergognosi del mostro che tenevano sotto chiave per non fare vedere al mondo come si faceva a lasciare suicidarsi lentamente una donna che crede d’avere la coscienza putrida e di dover annientare anche le proprie facoltà mentali oltre che quelle biologiche con il digiuno, e ci erano quasi riusciti a creare quel mostro, con la mia piena collaborazione, ma mano a mano che la primavera prendeva piede fuori e l’estate il sole splendeva e bruciava la mia pelle diafana, io ho camminato fino alla clinica e sono corsa forse prematuramente fuori dalla clinica è vero e ho rischiato di gettare via tutto il lavoro che avevo fatto annegandomi in una boccia di vodk anascosta nella gassosa, chi sapeva che un giorno avrei ricevuto, anzi, guadagnato, l’assoluzione, la comunione, avrei ascoltato attivamente le preghiere di Imagine e Let it be senza usarle per fare gli addominali, mi sarei riappacificata con la me stessa imperfetta, coi miei genitori imperfetti, triplicata e sognata di allargare il bacino per far posto ad una condizione naturale del mio corpo di creare altre vite imperfette, anche mangiando due pacchi di caramelle, solo perché mi andava così, di riempire la bocca di campi di fragole, leggendo Murakami a gambe incrociate sul letto di casa mia e che tutto il mondo intero sarebbe diventato comunque mio.
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No, anche questo autore mi manca…invece i miei sono appassionati di David Foster Wallace…io ho letto solo un suo libro, che devo dire merita (brevi inteviste con uomini schifosi)… un altro tra i miei autori prediletti è Coetzee…sempre anglofono, però sudafricano…non so se lo conosci, io lo adoro ne ho letta tutta la bibliografia 😀
Wallace dovrei leggerlo, infatti, ma lo temo. Di Coetzee ho letto vergogna e mi è piaciuto tantissimo! dolce epifania Cassy!
Io in realtà del giappone (a parte il fatto di andare matta anche per il cibo giappo-veg :D) so proprio pochino invece 🙂 non ho mai sentito questi autori…li consigli? Mishima, te lo consiglio, anche se rispetto a Murakami è più datato…
invece di autori americani mi piace parecchio Franzen (dimmelo eh se ti sto intasando i commenti con digressioni letterarie che la smetto!!) 🙂
scherzi? mi fa un piacere immenso!!! hai mai letto Joyce Carol Oates di americani? io l’adoro! E poi ho una passione per i ricordi di Virginia Woolf, e in generale mi piace la letteratura femminile, colta, ma femminile
😀 (‘l’uccello’ non può non piacere :P) shcerzi a parte… di altri autori giapponei ho letto vari libri di Mishima …e poi quelli di banana yoshimoto (ma non siamo agli stessi livelli…però mi piacciono e sono scorrevoli)…tu? so che sei una fan delle ‘giapponesate’ 🙂
lo ero prima di diventare un’americanofila convinta! hahahha no scherzo, sono ancora appassionata di giapponesate, ma più adulte, banana ho letto tutto non mi piace ma scorre bene come dici tu, mai letto kawabata o tanizaki?
si, si…ho letto entrambi…’l’uccello che girava le viti del mondo’ mi è piaciuto da matti…l’altro ammetto di averlo letto tempo fa e con non troppa concentrazione, quindi non ricordo molto bene!!
invece di 1q84 per ora ho letto il primo libro, il secondo me lo sono procurato solo da poco e attaccherò a breve 😀 per adesso mi è comunque piaciuto molto…soprattutto a livello di trama, credo che molto dello stile vada perso nella traduzione…
anche a me l'”uccello” è piaciuto da matti, questo secondo 1q84 mi scorre meno, forse è perché è da quando ho l’e-reader che alterno la lettura. kafUka è carino, ps se ti piace murakami hai mai letto altri giapponesi?
Cara Elisabetta, quei rotolini che stai contemplando dopo la doccia , sono ora il benefico risultato delle sofferenze grandi di un anno e mi sa che piaceranno tanto anche… al tuo Gianni! Scommettiamo ?
i miei rotolini mi cominciano a piacere, ti giuro, sembra incredibile!
ciao Elisabetta 🙂 come al solito questo tuo post, con il racconto della tua rinascita, mi ha commossa…un po’ perchè in tante cose mi ritrovo…un po’ perchè hai un modo di scrivere che davvero prende…soprattutto da quando usi la prima persona singolare 😀
ma lo sai che anche io sono una appassionata di Murakami?…tu cosa stai leggendo? immagino 1q84, visto che citavi Fukaeri…ne hai letti anche altri? (io adesso sto dedicandomi a ‘kafka sulla spiaggia’)
Cassy, sì, sto leggendo 1q84, il secondo libro… mi pèiace tantissimo anche se il modo di scrivere con così tanti “come” mi sta cominciando a stufare ti dico la verità….mi piaceva molto di più norwegian wood, o l’uccello che girava le viti del mondo, li hai letti?
Sono commossa… 🙂 E felice per te. Grazie per la forza hai dimostrato di avere e che dimostri anche oggi, giorno per giorno, perché mi regala una fiducia immensa.
grazie a te per aver continuato a leggermi, in morte e malattia e…rinascita!