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Momento very UP. Invero UP. Inversamente proporzionale alla disciplina della dieta, il mio umore sale, levita con lo stesso candore con cui si gonfia la pancia. Si dice sia carina. In Grecia potrò essere un’illustrissima sconosciuta che bagna la sua goffaggine con la spuma di venere. Si parla, si scrive bene, semplicemente si sta, si sta, a Firenze si dice si frescheggia, abbracciati dall’edera, osservando il cartello di carta paglia, con scritto a pennarello rosso la lista delle crêpes dolci salate, che declini, afferrando con l’altra mano una brioche ripiena di cioccolato, che non la volevi prendere, volevi proprio quella vuota, ma cazzo erano finite, che peccato, piuttosto che lasciare il #baretto per solcare altri lidi, mi accontento di quella grazie, e un caffellatte bollente se me lo porti al tavolo, per favore, che è la mia terza colazione e il peso di un elefante radica le piante dei piedi al suolo come ancore affondate nella ghiaia. Nessuna vergogna, questo è un post-o per vecchi, e io ne sono la mascotte. 30 anni suonati ed essere una bimba. Lo psichiatra sorride sotto i baffi e quando si esce senza farsi vedere dai miei mi rilascia una pacchetta sulla spalla, che significa in riga birbona! E mette in conto l’ospedale. Ma io devo andare in Grecia, succhiare dal mare l’ispirazione, e sputare i granelli di sale nella clessidra del tempo. L’infermierona elabora strategie per non lasciarmi sprofondare per la strada, lungo il tragitto, si mettono in moto persone a pagamento che mi tengano compagnia, è un lavoro stancante starmi accanto, se no finisco a terra sulle rotaie di un treno in pieno scambio, birra, abbuffate, borderlinità, tutta questa rabbia che esplode infilando le unghie nel corpo di una donna, la donna per eccellenza, non avrai altra donna fuori che me, odiare il seno, la parte materna di me stessa. Perdonami se ti ho picchiata, Perdonami se hai dovuto vedere così tante volte la scena di me che mi riverso con tutto il corpo fuori dal balcone con la furia che richiede l’atto di togliersi la vita, contemplarlo aiuta a vivere, per farlo c’è bisogno di una spinta, la tua. Invece tu mi aggrappi la maglietta e inchiodi al suolo. Io ti graffio, perdo le corde vocali a gridare, mi strozzo con la saliva che mi serviva a insozzarti e che mi ricade dentro la gola. Giochiamo ad abbatti la vacca. Un coraggioso gesto di onestà, che non è ancora il coraggio di vivere ma sta a metà tra il dire e il redimere. Non solo gli altri apprezzano, ma perdonano, incoraggiano, credono. E ricomincia l’approccio seduttivo, violento e irresistibile alla vita, soffio autostima dalle narici su nel cervello. A volte si può morire di estasi, di feste, di canto e di ballo. Sembra che tutti mi vogliano bene. Siete dei pazzi. Ci andate voi in clinica. E la dieta anche la fate voi.

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19 commenti su “Giochiamo che ero la pazza?
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      1. Credo sia vero, che l’unica a non amarti sia proprio tu, ho letto tutto il tuo blog in una notte. Sei una persona splendida nella tua complessita’, vedo profondita’ e al tempo stesso leggerezza, vedo una donna eccezionale con un conflitto interiore che sicuramente vincera’ fino a diventare serena. Ale

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