C’era un tempo in cui non ero nessuno, un tempo che non ero nessuno proprio, all’apice del limite minimo della non essenza perché non c’ero e un tempo che nessuno desiderava l’ennesimo nessuno da educare alla nullità propria e di tutto il resto, poi c’era un tempo in cui non essendo nessuno volevo essere qualcuno e anche il tempo in cui mi credevo qualcuno non essendolo, e poi c’è stato tanto tempo che tutti erano all’infuori di me e quello in cui io ero certa di essere almeno la peggio mentre il resto nonlosomica se c’era davvero. Ora, Per quanto è possibile, nulla è cambiato tranne il restare nulla e nessuno, la coazione a ripetere l’errore, e l’abitudine al non abituarsi mai a scoprirsi proprio così tanto tanto, così irrevocabilmente, nessuno, per cui un giorno noioso ci sarà il tempo di riguardarsi la collezione di vari tipi di non-essere passati, e di perderne alcuni per strada pregando anche iddio di dimenticarseli.
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In questo istante sento attraverso il muro un neonato piangere. Ho pensato che i neonati piangono perche’ percepiscono di essere. Poi ho pensato che piangono perche’ vogliono.
Perché non essere nessuno?
Tutti siamo qualcuno in ogni caso, circostanza!
È vero possiamo sentirci un puntino nel vasto oceano degli altri, ma siamo pur sempre qualcuno che sta vivendo una tragedia, un lutto, questo piccolo grande miracolo che è la vita