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Nessuno deve essere lì mentre mi vesto. Entro nel Nonawrimo come le dodicenni e mi vergogno. Again, hands down, man down. Questa non c’ha ancora sbattuto la testa davvero, nella frustrazione che piega in due, pur avendoci spesso già sbattuto la pancia, piegandosi in avanti con orgoglio equivoco, su pozzi senza fondo, gettando barchette di scottex consunto dal liquido di conservazione della barbabietola, scaricano fiotti di rosso come ridicole petroliere scartavetrate, e pagando diverse mazzette per posticipare le inculate, nella predisposizione e posizione giusta per farsi attaccare un bollino che certifica una cronica inettitudine, chiamiamola una becera vigliaccheria, se proprio, come mi verrebbe, una deficienza completa, una cazzoneria, una cretineria così avanzata, la malattia del Perdere. Possano i cinque miei cervelli, desiderosi, sognanti e poi no no no, potenzialmente creativi, concettualmente fini, presuntuosamente geniali, insicuri e fragili, una volta passato il cencino magico per scrostare gli sputi che nella loro voracità non mancano di diventare pappetta molle sotto le molle dei tasti, non più tramare a mia totale saputa che la quotidianità sia imperdonabilmente banale, noiosa, capire che la fatica è la base su cui si costruisce la piccola soddisfazione. Ieri per esempio ho trascinato il culo pesante e sono andata ad aiutare la vicina coi confetti rotti del matrimonio, e qualcheduno me lo sono intascato, tanto erano rotti e io dovevo fotografarli per rimandarli al fornitore. Stasera aspetto i fantasmi con l’acetone in mano. Dico che ho malditesta. Cose così. Stronzate. Per il resto la felicità, l’amore è ancora una cosa, come dire, ancora troppa.

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2 commenti su “Rompopopom, man down
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