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Diecimodidimorirenumeroundici

Aveva mentito per una vita a tutti cane compreso e ora non poteva più parlare e scusarsi. Non era mai stato cosi faticoso da fargli perdere la testa. Un’incidente stradale, lontano da casa, su quella strada sterrata a rarissima percorrenza. Se fosse stato cosciente, non avrebbe saputo proprio come spiegare, come mai si trovasse in quel punto remoto del pianeta che non veniva raggiunto neanche dal segnale del satellite. Per ritrovarlo, in stato semi-comatoso, dolente, striato da rivoli secchi di fango e ricoperto di grumi di sangue rappreso misto a brina, occorsero diversi giorni, durante i quali la sua assenza era stata denunciata dalla figlia alla postazione di polizia di Bolzano, come una misteriosa sparizione. C’era motivo di preoccuparsi, non si allontanava mai per più di una giornata lavorativa. Naturalmente, anche il lavoro era una menzogna. Non lo avrebbero trovato se avessero cercato nelle vicinanze di casa, la fantasia della disperazione doveva spostarsi altrove, con una misura diversa dai chilometri. Una donna. Era sicuramente una donna, quella che aveva telefonato anonimamente al soccorso stradale, paventando il corpo di un grosso animale, forse ferito? che ingombrava l’unica corsia del viottolo inerpicato verso l’ultimo rifugio della montagna prima del valico, era mantenuto durante tutto l’inverno da una donna sola che lo occupava per i rigidi mesi in cui nessun turista si sarebbe avventurato nella neve se non per suicidarsi. I freni non erano riusciti ad arrestare la brusca sterzata dal lato apposto della curva a tornante, la macchina scivolata tra i cespugli appesantiti dal ghiaccio, una marca sconosciuta, i fili di contatto strappati, con il parafanghi staccato caduto lontano di un metro, e la calotta del motore ammaccata, quasi accartocciata rappresentavano un triste spettacolo che stonava nella natura di puro candore che si avvolgeva il bosco di abeti, non venne subito aperta un’indagine per scoprire le cause dell’incidente, era una strada sconsigliata e pericolosa di quella stagione, anche se la polvere di un sedativo che gli avevano trovato nel sangue, nessuno pensò a una relazione sentimentale finita male, nessuno pensò a nessun’altra ipotesi plausibile del perché fosse lassù durante un giorno di lavoro mentre i clienti lo aspettavano, o aspettavano le sue credenziali, lo trasportavano sfrecciando con l’ambulanza in ospedale una volta raggiunta l’autostrada, l’autista pigiò forte sull’acceleratore. Stava morendo, il battito del cuore stava altalenando veloce, e per ultimo tossì come un canto di un cigno, aveva riportato diverse ferite, e battuto violentemente la testa, constatò l’assistente di primo soccorso. Aveva una pistola carica nell’auto cappottata, nessuno l’aveva mai vista nelle sue mani, era caduta sul tappetino dal cruscotto che si era aperto per far scoppiare l’airbag. Una donna, sola, nell’unico rifugio abitato nei paraggi, con in volto i residui bellici di una violenta litigata, le guance avvamoate, gli occhi fuori dalle orbite quando salirono ad interrogarla, forse aveva visto qualcosa, e con chi aveva litigato se viveva da sola da cosi lungo tempo? lui aveva bevuto dal suo bicchiere, e non poteva immaginare che nella fretta di tornare a casa, la neve aveva cominciato a picchiettare sul parabrezza nel pomeriggio, le chiavi della sua macchina attrezzata per la neve erano così in vista e inoltre aveva già le catene montate, quella donna, sola, che sopportava troppo bene quel liquido alcolico non mescolato al farmaco ipnoinducente, quella donna, che aveva cercato di togliersi la vita esaminando e contemplando con attenzione tutte le possibilità e gettate velocemente nell’auto diventata la macchina del sui destino, perché non poteva più sopportare di essere solo un’altra versione della sua vita, un’alternativa alla realtà, e la verità invece era morta insieme a lui.

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