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La cera sulle dita

Le coincidenze fortuite erano troppe. Quella mattina era andata svogliatamente al centro diurno a fare Arteterapia ma cavarsela da sola era il suo nuovo imperativo categorico. Bene o male ce la faceva quasi sempre a portare a termine le cose, anche quando si riduceva a farle all’ultimo minuto, anzi, spesso erano le uniche che le uscivano fuori bene, quelle fatte di rincorsa, trattenendo il fiato, presa da una frenesia e da un’ansia da prestazione che nessuna pasticca di Lyrica poteva sedare, il telefonino agganciato all’orecchio all’ultimo secondo, erano le chiacchierate che prolungava meglio, quando la prendevano alla sprovvista, allora sciorinava una parlantina e una veemenza nell’interloquire che quando si programmava le cose in anticipo non riusciva ad esplicare. Anche quella mattina aveva disegnato i soliti triangoli fluorescenti pestando sul cartone coi pastelli a cera, e aveva ricoperto tutto lo sfondo di nero, un nero dei rami dei tronchi in inverno, pesante, tetro, recalcitrante all’occhio e umido addirittura da toccare, infatti ci poteva intingere i polpastrelli e lasciare su una nuova superficie il segno inequivocabile del suo passaggio. Mentre aspettava il babbo per andare a mangiare al vegetariano, aveva incontrato, per caso, due infermiere della sua vecchia psichiatria, che le avevano gridato “non ci posso credere” e lei gli aveva risposto “dai,non ci posso credere”, e poi tornando a casa aveva incontrato anche quel tizio della psichiatria, quello tanto matto ma tanto bello, che si fermava a fumare con lei nella stanzetta alle tre di notte quando anche le urla dei più malati cessavano stordite dai surrogati distillati in gocce del ronzio materno della ninna nanna, e anche dopo la sua dimissione tornava a trovarla e spuntava sempre fuori qualche marlboro black di sghembo preparata per lei dalla tasca dei pantaloni. Era in macchina, si era fermato a chiamarla per nome, portava fuori il cane anche lui dalle sue parti, prova esistente che anche finendo in manicomio si puà tornare tra i vivi. Ti vedo bene, le disse, squadrandole il cappotto rosso e scostando la sciarpa che le copriva per metà la bocca. Quando lo salutò – non si sarebbero mai più visti- lui richiuse il finestrino e lei gli lasciò una rigata con l’indice che formava un cuore.

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13 commenti su “La cera sulle dita
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  1. le coincidenze non esistono, esistono i pensieri che fanno succedere le cose…. dipingi gli alberi autunnali di nero ma non perché sono tristi e tetri ma perchè stanno dormendo per svergliarsi poi….. cerca: http://www.leggediattrazione.it
    non comprare libri, non è obbligatorio, si trova tutto online, video, scritti… e leggi…. per favore
    Sandra

  2. Scrivi in modo meraviglioso , cara Elisabetta , e in moto tale da rendere quasi visibili e palpabili le sensazioni raccontate . Sarà anche per mia esperienza lavorativa, ma posso capire ancor più l’ambiente e le sensazioni! Dolce sera !

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