Si era svegliata di soprassalto trovandosi completamente scoperta fino ai piedi, ma era nel letto di casa, almeno quello era sicuro, e cercò di tranquillizzarsi. Stava sudando freddo, quando si accorse che il cane era vigile e sveglio proprio accanto al suo letto, ritto sulle quattro zampe, le sottili palpebre non si chiudevano né sbattevano nonostante fossero solo le tre di mattina, aveva avuto un incubo, il peggiore degli incubi degli ultimi giorni, veniva arrestata e condotta a un manicomio criminale, aveva commesso non ricordava quale efferatezza in cui era scorso del sangue, la stavano strappando via da casa, in camicia di forza, stava per abbandonare il cane un’altra volta, per una stanza chiusa dai cuscini sulle pareti su cui sbattere la testa; per quello l’aveva guardata per ore dimenarsi nel letto, i cani potevano leggere nei suoi sogni da quella notte, avevano paura, ed erano tutti arrabbiati con lei. Era ancora buio quando si infilò di fretta le ciabatte e corse in bagno a guardarsi la faccia, era spaventosa, piena di cicatrici e arrossata, sudata, la luce biancastra del neon ad ingrandirle il naso unto, sentiva che suo padre nell’altra stanza era sveglio anch’esso, e stava borbottando tra sé la favola del figliol prodigo sapendo che quando la mamma sarebbe tornata da Palermo, lei le avrebbe fatto delle grandi feste, proprio come un cane che ama di più il padrone che lo bastona, e che forse anche lui avrebbe dovuto comportarsi così, fare i suoi porci comodi come la mamma, invece di esserci tutti i giorni, con la presenza, con le cure, con l’affetto, anche con i rimproveri e le preoccupazioni, e non ricevere mai indietro nemmeno un sorriso. L’alba del nuovo giorno stava arrivando, accese la macchina macinacaffè che fece un gran ronzio e annunciò gloriosa al babbo che quella mattina non avrebbe fatto la doccia, ma poi l’aveva fatta lo stesso, di nascosto, per ripulirsi della sozzeria del treno, della pioggia, dell’umido che le appiccicava i vestiti e la cioccolata sciolta nella tasca dei jeans. Si era fatta coraggio e aveva promesso che avrebbe portato lei fuori il cane per quella mattina, per lasciarlo cincischiare a giro per la casa con comodo, per vedere se con le buone azioni e le cortesie si poteva rasserenare quell’aria cupa che stagnava nella casa da quella notte. La telefonata della mamma era arrivata mentre lui la stava pregando di stare un po’ tranquilla, per una buona volta, di non chiedere tutte le volte al barista che il cappuccino sia diverso da come glielo facevano, con meno latte, meno schiuma, ma bollente, con più caffè, no scusi grazie mi può aggiungere un po’ di latte ancora? grazie, di farsi andar bene qualcosa così come viene, di non essere sempre così ansiosa e agitata, e la mamma al telefono sembrava preoccupata, tutti sembravano preoccupati che da un momento all’altro la situazione potesse esplodere, che cadesse giù dal cielo la catastrofe, la crisi, magari mentre stavano trifolando i funghi rumeni che avevano trovato al supermercato, o mentre lanciavano il calcio d’inizio di Manchester United Arsinal su Sky all’ora di pranzo, la forza centrifuga che aleggiava in casa era talmente portata al limite che una sola vibrazione poteva scatenare un big bang, sotto forma di un attacco di panico di dimensioni stratosferiche, che avrebbe inghiottito anche suo padre, anche i cani, anche i muri le si piegavano addosso ricurvi come nell’incubo, non poteva fuggire dal manicomio domiciliare che si era creata, poteva solo fumare, aspettare l’ora di cucinare, spadellare, affettare funghi, spellare l’aglio, l’ora in cui forse si sarebbe rilassata, assecondando le direttive del babbo, facendosi guidare dolcemente in una distesa quotidianità e ritualità casalinga, fatto i piatti, acceso la televisione, messo in forno lo scaldotto, aperto e chiuso il libro della vera cucina fiorentina, ricontrollato che gli ingredienti per l’arista con le patate dell’indomani fossero tutti i frigo sigillati, rifatto il letto e appoggiato il nuovo peluche dell’omino di pandizenzero accanto al cuscino, cambiato l’aria impregnata di germi di bronchite, sudore, ombre, avrebbe contenuto il suo big bang in una piccola frattura personale, non lo avrebbe dato a vedere, sarebbe stata invisibile, per quel giorno, sarebbe passata inosservata davanti a specchi muti che non l’avrebbero riflessa. Sarebbe stata attenta a non fare diventare l’incubo la sua realtà.
L’incubo0 (0)
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http://allorizzonte.wordpress.com/2012/10/09/il-muro-o-del-risveglio/
Bene arrivata laddove vi è da scalvacare, aggirare, dimenticare l’esistenza di un muro.
secondo me… tuo padre ti ama tantissimo…
prova a sorridergli…
i rimproveri anche se ci sembrano sbagliati… fanno tantissimo bene… cosi come fanno bene i no…
🙂