Ho giocato a carte con un uomo misterioso. Non so chi sia né da dove venga. Ero seduta al tavolo sotto il bersò di foglie di vite americana del solito bar, i miei capelli erano ancora umidi dalla doccia e si notava poco quanto fossero rossi se non sulle punte che stentavano ad asciugarsi a causa dell’aria frizzantina di settembre, avevo dei giornali vecchi di ieri sparpagliati davanti a cui lanciavo rapidi sguardi per cogliere dei titoli, ma subito giravo pagina infastidita, non ero annoiata, ero stizzita. Le notizie non m’interessavano. Che il mondo andasse a rotoli! Con una mano fumavo, con l’altra tenevo tremante una tazza grande di caffè, anch’esso americano. Tremavo perché avevo passato tutta la notte a litigare con il mio ragazzo e mi era rimasta nei nervi l’agitazione e lo scompiglio fisico di molte conclusioni. Ero molto pensierosa, e quasi mi stavo afflosciando sulla sedia facendo scorrere le gambe incrociate due volte sotto di me, come solo io riesco i a fare, far combaciare i piedi in direzione opposta, è un giochino che ho imparato da bambina e che forse all’epoca mi serviva come un’inconsapevole e innocente cintura di castità. Dalla bocca aspiravo grosse sorsate di tabacco alla ciliegia, che mi ricordavano le ciliegie grandissime e gemelle americane che mi appendevo alle orecchie facendo ridere alcuni uomini che invitavo nel mio rifugio dietro la casa ristrutturata da un vecchio fienile, a trecento chilometri da New York. Altri mi compativano, e me le toglievano velocemente, per poi buttarle in mezzo alla cesta dei noccioli, come se fossero contaminate e non più buone da mangiare se avevano toccato la mia pelle. L’uomo aveva un accento americano, non inglese, lo so perché le prime parole che mi ha detto sono state It comes the fall. Non autumn. Fall. Il termine americano per dire autunno. Viene l’autunno. In effetti alcune foglie del rampicante sembravano pronte a strozzarmi, e pensavo che si riferisse a quel colore meraviglioso e fiammante, pensavo si riferisse a quelle per attaccare bottone e facendomi alzare lo sguardo e notare l’aureola di decadenza che mi circondava. Poi tirò fuori un mazzo di carte. Se peschi rosso giochiamo. Gli dissi che non importava, perché ero già diventata rossa d’imbarazzo, e poi, che altro potevo fare, liquidarlo non potevo perché avrei dovuto inscenare un’importunio, e in realtà quell’uomo mi aveva salvata dalla fastidiosa solitudine in cui mi ero rintanata, volevo solo che si asciugassero i miei capelli in fretta prima di mezzogiorno. Non disse nient’altro, mescolò con maestria ma senza la gestualità grottesca di un prestigiatore. Non mi disse il suo nome, so solo che non distolse mai lo sguardo da me, ma neanche per un momento pensai che mi stesse facendo vincere.
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Bravissima Elisabetta!!!
Smack,!
Sempre bello leggerti 🙂
Grazie!!! <3
Grande maestria nel descrivere, con i gesti fisici, l’intimo nel suo più profondo. Non è da tutti.
Grazie mille che bel complimento!
WOOOW!! L’ho letta una sola volta e mi è bastata!! FANTASTICA!! CHIARISSIMA.!!
Mi piaci ancora di più. BRAVA!! BRAVA!! BRAVA!!!