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10 modi di sopravvivere (n.10)

Finché nel bel mezzo del nulla, uno squarcio di sole malato che la soffocava filtrato dall’umidità perché il sole pieno e splendente colpisce solo i belli, le si posò sulla fronte, non era tre metri sotto terra, pensava, e ritornò il livore accecante di essere l’unica là dentro a non esser stata risparmiata dal sisma. Non mi posso muovere, pensava, la mia schiena è imbarcata sotto 30 chili di tralci di ferro e travi di legno sopra le mie costole, come faccio a sapere che sono 30 chili? perché sento che è la metà esatta del mio peso, il fiato esce rauco e sordo quando provo a chiamare aiuto, non mi pesa morire, mi pesa che non mi trovino, che non mi cerchino, che non abbiano suonato il campanello per gridare di uscire tutti, che non abbia ricevuto una telefonata per sapere se sto bene, che non sappiano che io sia qui. Io stavo solo…dormendo. Non mi sarei vergognata di uscire in pigiama. E per la prima volta Jane capì come fosse possibile per molti dei suoi assistiti, lavorava in un centro di riabilitazione motoria dopo incidenti stradali, vivere di astio e di ripicche verso tutti gli altri che piano piano cominciavano a camminare, a muovere gli arti, a formulare piccoli suoni gutturali dopo un colpo di frusta. Il formicolio che non ti fa sentire le gambe le premeva come un senso di perdita, quasi lo stesso senso di perdita e euforia che si prova a sopravvivere a una bomba, che è quasi un guadagno portato a casa, e si è felici di liberarsene, per pochi secondi, pensò che le sue gambe potevano anche essere inutili per tutto il resto della sua vita. Se solo qualcuno fosse venuto a reclamarla. E l’odio cresceva. Come fanno a saperlo? si era chiesta. Dove trovano il tempo di appostarsi in un vicolo buio, di spiare attraverso le tende quando tutta la città era stata abbandonata al suo destino di mattoni precipitati, case vuote, elicotteri che dall’alto pensavano solo a fotografare una città fantasma da mandare in onda al telegiornale. Non c’erano luci accese, e sbatteva il naso contro l’evidenza: la famiglia, senza di lei, non era andata a rotoli. E l’odio cresceva, al di sopra del dolore al petto e al viso sfigurato. Si spandeva a macchia d’olio come la pozza di sangue non tamponato fuoriuscita dallo zigomo colpito, dal traliccio dell’aria condizionata che era venuta giù, a due centimetri dalla sua testa, quel grosso scatolone di metallo avrebbe potuto ucciderla sul colpo, e non ci sarebbe stato tempo per il livore, sarebbe passata subito nella fase dell’innocenza, di chi non prova rancore, no, da lassù non potevano -volevano?- sentire qualcuno che con flebile voce, impastata da tutto il sangue che si era rovesciato anche nella bocca, a tratti regolari, implorava aiuto. Adesso ce l’aveva con Lars, era lui che rifiutandosi di ammetter le proprie responsabilità, permetteva alla sua situazione infelice di protrarsi, lei era l’unica a dire con determinazione che quella donna lo avrebbe deprivato di tutto l’amore che si può contenere in un cuore. Suo fratello era sposato da anni con una donna che odiava, e tenendo accesa la televisione 24 ore su 24 aveva pensato che magari, una sorella a fargli da grillo parlante, poteva essere tranquillamente rimasta tra le vittime, e questo la agghiacciava, ma le schiariva il cervello con i miliardi di cellule impiegate e preparate di millenni di storia d’istinto di sopravvivenza, solo per uscirne fuori e fare: buh, sono ancora viva, posso rovinarti ancora la vita. Ma non ci sarebbe riuscita, neanche questa volta, se solo le avessero tolto quell’ammasso di ferro che le bloccava il respiro. Lei e suo fratello non si rivolgevano la parola da anni, e se si fossero seduti vicino in una panchina di un parco, forse non si sarebbero nemmeno riconosciuti. E non posso dire certo che mi dispiaccia! A un giorno dal terremoto, contati i morti e i dispersi, arpionarono il fratello in un’intervista svenevole per il tg delle 8. Coi miei parenti non ci parliamo più, nessuno escluso. Aveva davvero avuto la freddezza di dire questo? Per fortuna che la televisione che a malapena riusciva a scorgere tra le travi, era grottescamente intatta e accesa senza spegnimento automatico alle 3 della notte com’era stato un tempo quando desiderava dormire senza led accesi a interferirle coi sogni, su un canale dove le notizie venivano romanzate, drammatizzate, cercò di allungare la mano, l’unico arto libero dalle scorie e e detriti che le si erano rovesciati addosso, per alzare il volume, colse una voce argentina, con molte pause sceniche, non poteva vedere le facce, gli occhi erano tumefatti e la polvere le aveva procurato un’inquietante senso di cecità, ma ascoltò la voce  elegante dell’intervistatore che lo incalzava: Questo per lei costituisce un problema? La voce sembrava sorpresa. No per nulla. E i bambini? insistette l’intervistatore, non la state…cercando, non vogliono rivedere la zia?

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