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10 modi di sopravvivere (n.5)

La prima volta che la vidi, stava piangendo per me, a dire la verità, stava ridendo. Ero coperta di sangue, guardavo con le ciglia inzuppate di placenta la mutevole faccia del mondo, con un’espressione sorpresa guardavo anche dentro il mio io incompleto. Oscillavo e ondeggiavo, sorretta come un buffo pinguino dalle ascelle, venivo celebrata in alto ero certamente il sole dell’universo e a tratti mi riproponevano la consistenza della terra, su alluci privi di ossa, e allora ero il nucleo della terra, protesa a cogliere suoni lontani, fendevo l’aria con microscopiche pinne, più che piangevo, mi cambiavano posizione, mi avvolgevano braccia e ogni persona era la più fortunata, se mi aveva in braccio. La testa mi cadeva dalle parti, suscitavo parole dolci, voci sottili per i loro corpi così grandi e risate, avevo già imparato come inclinare il capo nel modo migliore per farmi amare. Poi non mi guardarono più, mi portarono via su un carrellino, sulla stanza vetrata scesero lunghe tende bianche, me la portarono via e il ciclo del mio io era stato compiuto senza esperienza, senza insegnamenti. La seconda volta che la vidi, non ci fu nessuna seconda volta, ero così piccola, non si premurarono di nascondere che era morta, ma io avevo già smesso di piangere, sapevo già che il giorno della mia nascita non sarebbe mai più stato una festa.

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