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10 modi di sopravvivere (n.3)

Se mi lasci m’ammazzo. Il letto era stato rifatto e disfatto più volte, dovettero scendere e sentire la terra ben ferma sotto i piedi, che il mondo non continuasse a girare sotto di loro senza curarsi del loro attrito, e lasciarli indietro, nel corso della notte, vieni alle otto di questa stasera, si erano preparati entrambi ad accendere il fuoco delle armi, una trincea di sacchi di sabbia di scuse, il suo tapparsi le orecchie con il palmo delle mani e il dondolare ossessivo della testa quando lui le parlava come ascoltare una sentenza di morte, una morte clandestina, una morte invisibile al mondo, come era stato il loro amore, tutto tornerà come prima, si sarebbero incrociati nuovamente senza degnarsi d’uni sguardo ognuno col suo seguito di studenti, elmetti perforati dalle mitraglie nascondevano smorfie feroci e il fucile imbracciato ognuno contro l’altro era sempre carico e pronto a sparare, a rivendicare, tu non la ami, tu ami me, due reduci mutilati salutavano la terra, ti devo parlare, il gatto impaurito si era rifugiato a leccarsi il pelo nell’altra stanza, insistendo su un unico punto dove si arruffava la lanugine cangiante di fulvo, bozzolini pelosi che non arrivava mai a sbrogliare fino in fondo con la lingua ruvida, sei tu la mia mattina, come se ci fosse passato una mareggiata e poi una grande corrente di vento avesse spianato tutto, stavano chini seduti per terra al bordo della testata, a piedi nudi, stremati, la pelle bollita dall’appiccicaticcio del sudore spalmato con le mani lungo tutto il corpo, mentre facevano più e più volte l’amore, avevano giocato a infilarsi l’uno nei panni dell’altro,una sola maglietta in due, piccola, vieni qui dentro con me, come una Spira che avesse due teste e le braccia non uscivano dalle maniche ma si aggrappavano alla schiena dell’altro formando un unica grande dea Kalì che si teneva le costole sonnecchiante ed esausta di litigare con i suoi intercessori, come se avesse esaurito le sue motivazioni per odiare, è così che deve andare, è meglio per entrambi, per l’ultima volta guardò quanto era bella anche con la faccia stravolta dal pianto i capelli annodati le ginocchia e i gomiti arrossati per averli picconati a terra mentre facevano un’ultima volta l’amore, sapeva di perdere tutto e sapeva anche che qualcosa quel giorno avrebbe cambiato per sempre la sua vita. Prima che lei sgusciasse via da quella goffa t-shirt, allacciandosi i jeans le rivolse un sorriso, l’ultimo, le strinse la mano, andrà tutto bene, tu puoi sopravvivere, le pettinò i capelli con cura, senza aprire bocca, era sicuro che qualsiasi cosa avrebbe detto sarebbe suonata stonata, poi lei si infilò gli occhiali neri che aveva appoggiato sul tavolo prima di cena, raccolse ogni traccia di sé dalla camera, senza girarsi aprì e oltrepassò quella porta dov’era appesa una ghirlanda con ricamati i nomi di mamma papà e piccole fotocopie dei bambini, portandosi dietro almeno la certezza che avrebbe compiuto qualche sciocchezza, qualcosa di avventato, una salvezza! l’aveva invitata per parlare chiaro, aveva imbastito una cena e un dopocena che inizialmente non aveva proprio l’aria di essere un’ultima cena, non aveva nemmeno comprato il pane da spezzare, chiaro, a malincuore, non puoi restare, ci sarà lei, con i bambini, era stato duro, ma la sua faccia seria non reggeva per più di cinque secondi alla volta, perdonatelo, perché non sa quello che fa! La prima volta che si erano incontrati al dipartimento di storia lui le aveva detto se facciamo l’amore sarai la mia donna per sempre, e invece era una bugia, gli uomini mentivano sempre ai primi appuntamenti, e mai agli ultimi, e mettendolo in conto, le era venuto in mente che poteva essere una bugia anche questa: non possiamo, perché forse non era l’ultima cosa che le avrebbe detto. Stava chiudendo la porta, proiettata verso il cancello, la strada, poi il fiume, a urlare vaffanculo al primo che passava e che sicuramente avrebbe suonato più volte il clacson, o l’avrebbe agguantata per le spalle mentre si sporgeva troppo dalla balaustra e si lasciava tentare dalla vertigine. Poi esitò un attimo, si girò, e riaprì la porta, vide il gatto venirle incontro e con lo sguardo gli implorò il silenzio mentre rientrava. Se mi lasci t’ammazzo.

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