Mi sembra, mi sembra di svegliarmi indolenzita, pesante tassello nella piramide di arti femminili che ha confezionato buttando in nostri corpi contro il muro, ma in pochi istanti realizzo di non aver mai veramente dormito, sembrano secoli che siamo prigioniere, sono seduta -distesa- sopra la testa dalla chioma morbida di un’altra donna, e i miei piedi toccano una schiena magra con la spina dorsale in evidenza, perché lei è curva con la testa tra le ginocchia ed è rumorosa quando respira -ansima- per cui tutte le vertebre se unisco i puntini disegnano una parabola immaginarie da cui schizzano una x e una y che vanno a sbattere contro le pareti fatiscenti di questo loculo, a singhiozzo, e io non posso dormire, non che importi, qui non c’è differenza tra luce e buio, tra giorno e notte, se dilato un poco le narici riesco anche a percepire l’odore di fiori muschiati misti ad argilla essiccata, la pelle chiazzate di macchie, della biondina che ho di schiena, lei è piccola, minuta, so che guarda in alto, alla ricerca di uno spiraglio di luce, lo sento perché le nostre schiene non combaciano riflesse, dove c’è il mio collo, il crespo dei suoi capelli ispidi mi punge la nuca. Trasugo una sorsata d’acqua, quel tanto che basta per bagnarmi le labbra, l’acqua sporca attraverso la coperta in cui ci hanno avvolte, tre coperte di lana infeltrita e dura calcificata con la pioggia, è intrisa d’acqua sporca, impregnata di melma fangosa e ha un sapore acido, perché ha spiovuto tutta la notte sgocciolando dalle travi a mezz’asse sopra la nostra testa, siamo prigioniere da ieri, la biondina ha ricevuto una ciotola piena di pane fresco, all’inizio ho pensato che fosse la prescelta, poi girando un poco il collo indolenzito, prorompendo in una catena di starnuti e cercando di puntarmi sui ginocchi per togliermi di dosso quattro paia di mani che non so da che braccia provengano, se siano braccia vive, o cadaveri, o braccia vive rassegnate, che trovo ancora più atroce, vedo la sua pancia grossa come se avesse un palloncino finto infilato sotto la maglietta, ma vedo cicatrici e pelle, è forse quella meno impaurita di tutte noi, una è già scivolata via, dal mucchio, io all’inizio non me n’ero accorta, ci ha tolto le mascherine e lo scotch da sopra la bocca e l’abbiamo vista stuprare e poi rimasta lì a dissanguarsi accanto al tavolo della tv a due metri delle nostre catene e pensava che avremmo urlato invece siamo state lì a guardare, qualcuna ha chiuso gli occhi gonfi troppo abituati al buio, la donna tutta ossa ha provato a chiedere ancora dell’acqua, mentre lui con la faccia furente si abbassava i pantaloni, come si ordina una bibita per goderci un film al cinema, e io ho provato rabbia, perché lei aveva le mani libere per picchiare, fracassare le mascelle a quell’uomo, e invece se le teneva strette davanti al bacino, alle ossa pelviche, a proteggere quel suo corpo nudo e umiliato, già pieno di lividi, ci guarda chiedendoci aiuto, guardando nel muro il punto in cui si può fissare l’orrore come una macchia, e incespicando nelle parole, quel muro a cui un giorno si chiederà di parlare, di raccontare, e lui starà zitto, come tutte noi, si capisce che non abbiamo le forze, né la voglia, di difenderla, è già tanto se riesco a scrollarmi di dosso la lunga catena attorcigliata che mi sega le gambe, lo sentiamo da lassù col suo megafono che scende due scalini appoggia il gomito sul muro crepato e annuncia la sua prossima mossa ci indica approssimativamente il telecomando rotto, se volessimo sentire parlare di noi al telegiornale, e la maggior parte delle volte risale, si tira su i pantaloni che gli cadono sotto il sedere, e si chiude la botola sotto i piedi. Qualche volta scende e ci dice cose carine. Ogni parola diventa carne fresca per la nostra mente che ronza un’ammonizione divina, noi seguiamo gli ordini, vogliamo essere le prescelte. Ci uccide a una a una, finché non rimmarrà la donna da sposare, non so quale sia peggio di destino, che essere chiamata moglie da lui, o dalla sua mano essere uccisa. Prego fino all’ultimo di non essere la prescelta. Ogni tre ore scende a dare un’occhiata, con un faretto a carica manuale che ci punta contro le pupille per indagare nei nostri occhi se siamo pronte. Io lo sono. Sempre. Mi muovo con voluttà tra i pesanti ormeggi che mi tengono inchiodata al suolo, stringo la donna magra per un po’ tra le braccia, le tolgo la coperta bagnata e la ricopro col mio corpo, voglio che non la veda, sparisce in fretta sotto di me, mi contagia con i suoi brividi di freddo, il mio fiato scalda lei e io rimango con la bocca secca di nuovo, cerco di arrampicarmi fra braccia mani e teste per essere al culmine della montagna, digrigno i denti e soffio come un gatto quando mi punta la torcia addosso, voglio provocarlo così tanto che mi prenda subito, non abbia tempo di slegarci e toglierci le bende prima di ucciderci una davanti alle altre. Non voglio che il bambino senta troppe urla, che la sua mamma si metta a scalciare e a urlare fendendo la poca aria che abbiamo una volta privata dei polsini di ferro. Voglio essere la prossima a trovarmelo di faccia, sarebbe la prima volta che mio padre mi guarda.
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Elisabetta cara io devo chiederti umilmente scusa perché a tutt’ oggi non ti avevo ancora ringraziata per il premio che mi avevi assegnato, nel periodi in cui avevo ricevuto il messaggio ero senza pc, poi per dimenticanza, non ho più ringraziato…spero di rimediare e ti ho menzionate nel mio ultimo post…..mi sà che dovrò prepararti una bella torta per farmi perdonare!!!!
Ti abbraccio forte e sei una Grande!!!
Bacione.
Gabila
sììììì una bella torta vegana!!!!!! 😉
Sono qui a pentirmi, a pentirmi di avere poco tempo, di non riuscire a leggere costantemente questo blog, sono qui a chiedere scusa.
non ti preoccupare leggere dovrebbe essere un piacere non una corsa al tempo 😉
ciao tesoro, passo per lasciarti un saluto. Ho iniziato a leggere il tuo post, mi perdoni se ti confesso che a volte non ce la faccio a leggere tutto? altre volte mi catapulto nel tuo mondo invece senza pensarci un attimo. D’altronde non se una che lascia indifferenti! ti do un bacio grande. mony ***
non preoccuparti, non mi rileggo nemmeno io! <3<3<3
ogni volta leggerti è come penetrare un nuovo mondo tremendo e fantastico insieme, sempre più coinvolto 🙂
ciao grullo! <3
Hahaha ma ciao 🙂
Buon pomeriggio magnifica scrittrice