Entro tre giorni avrebbe avuto 28 anni, e più la scadenza si avvicinava più lei si sentiva persa, smarrita, angosciata all’idea di quel compleanno infausto che marchiava chiaramente come tutto stesse andando a scatafascio, giorno dopo giorno, dalla punta di un cucchiaio si sentiva scivolare giù come un olio viscoso verso la pentola bollente d’acqua, dalla redazione le avevano risposto che l’avrebbero pubblicata, e quella era la peggiore notizia che potesse ricevere quel giorno, perché significava doversi mettere a lavorare, con l’ansia che le stringeva le costole, col potassio sotto i piedi e le mani tremanti accese il computer e dette un’occhiata a tutto il suo racconto, un cimitero di parole illimitato e barocco, se ne vergognava e non ebbe il coraggio di rileggerlo, inviò la mail al caporedattore stringendo gli occhi, inspirando profondamente a mezzo stomaco, poi mangiò una busta intera di minestrone, e decise di non vomitare e nemmeno di impasticcarsi e nemmeno di bere, ma di camminare su e giù per la casa la cui luce svaniva di minuto in minuto con l’avanzare dell’autunno, e dei giorni che le sarebbero rimasti prima di assaggiare quella torta minuscola che sua madre così sempre maledettamente contenta e positiva si era proposta di confezionarle, il suo compleanno, l’età del decadimento, e forse, forse, adesso, una pubblicazione, ma a che prezzo. Smise di sognare e si affrettò a sbattere le sue dita contro la tastiera scricchiolante, prendendosi il viso tra le mani ad ogni punto e a capo, non era una poesia, eppure non era prosa, era solo il suo flusso di pensieri ancora così aggrovigliato e famelico di tutto il pranzo che non aveva mangiato, di tutti i vestiti che non si era messa, di tutte le bottiglie che ieri e aveva bevuto e oggi aveva gettato nel cassonetto insieme all’aria affranta di suo padre, c’era qualcosa, qualcosa che proprio non andava nel verso giusto in lei da quando aveva solo accennato a diventare adolescente e poi adulta, qualche neurone che non connetteva bene e che la rendeva così terrorizzata dalla realtà, dal presente, da una qualsiasi attività da renderla solo una fumatrice consumatrice di pavimenti e basta, qualche sostanza nel suo cervello che mancava e che potesse darle quiete, dare agli altri, pace.
-30 (0)
Clicca per votare questo articolo!
[Voti: 0 Media: 0]
Mi piace il tuo stile, davvero, e non sto facendo la lecchina.
A volte invidio chi sa vivere nella tranquillità, senza angustiarsi troppo. Io non ce la faccio: da fuori non sembra, ma sono perennemente rosa dall’ansia, anche per i più futili motivi.