Un’altra giornata di merda senza caffè e senza nulla per Jaele che era sempre più disperata all’idea di farsi due nutrizioni in più con l’aggiunta di ben tre ensure -beveroni artificiali allo schifoso gusto di vaniglia o cioccolato ma sempre schifezze che la facevano gonfiare come un pallone rimanevano-. La voglia di vomitare era indicibile, vomitare tutto quel marcio che aveva dentro, niente più interessi, né scrivere, né leggere, né guardare i film, né fare yoga, né lavarsi, era diventata un’automa rinchiuso in quel cazzo di corridoio di linoleum, con le pareti ricoperte di linoleoum, con le finestre sbarrate da dove non penetrava un raggio di sole né un goccio di pioggia, gli occhi foderati di linoleoum, le orecchie tappate a qualsiasi parola, i pensieri di plastica che si avvicendavano e affollavano angosciosi nella sua testa psosciugata dalla stanchezza di essere considerata pazza, bugiarda e infida, solo perché era rimasta aggrappata a un filo alla vita, e questa vita certo non era bella da essere restituita al mittente, no, doveva vivere per forza, contro ogni sua volontà, doveva soffrire e basta, rintanata nella camera a tre letti dove nessuno dormiva mai o qualcuno dormiva sempre, dove si urlava, si piangeva, non ci si acquitava mai, solo un sorriso finto ogni tanto quando arrivavano i parenti, ma era azzardato, distratto, vuoto, senza lucentezza alcuna negli occhi, spento come le luci alle nove di sera tutti irrigiditi e impasticcati di non so quali ipnoinducenti fino all’indomani mattina, come il giorno precedente, come quello prima, come quello prima ancora, come domani, come forse per sempre.
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