Jaele 7
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Jaele aveva aspettato la mattinata per racimolare un caffè, dopo dieci giorni di ricovero uno era riuscito a farselo procurare. Poi l’hanno fatta mangiare in camera da sola sotto stretta osservazione perché non vomitasse e non mangiasse il cibo degli altri. Stava aspettando il dottore per parlare di alcuni casini che aveva combinato la sera prima ma in quel posto le attese erano lunghissime e nel frattempo le avevano rivoltato la pelle pesandola, misurandole pressione, cavandole il sangue e trattandola conme uno strano animale. Però non aveva vomitato. E non voleva farlo mai più, si era veramente stufata di quel rituale macabro e scabroso della sua giornata. Certo, non era più in forze di sostenere un peso così grande da ripetere così ossessivamente. Doveva smetterla, subito. Martedì 30 agosto aveva mangiato una pappina di frutta e una pesca. Ma sempre meglio che vomitare. La sera prima l’avevano contenuta a letto e rintontita di gocce di calmante per costringerla al letto, e inutili erano stati i suoi scatti di ira e ribellione per correre in bagno, era piena di lividi per la costrizione, un’esperienza così terribile non voleva più passarla. Mai più.

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