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Jaele
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Jaele si svegliò in preda al panico, sarebbe stato il giorno in cui avrebbe dovuto andare a spiegarsi con lo psichiatra, del perché del suo abbandono repentino alla terapia. Non ce la faceva proprio, a sopportarla, quella sacca di liquido bianco che le arrivava direttamente al cuore tramite un catetere che passava attraverso un foro nel braccio destro. Basta! Si disse, e si pregustò le lacrime cattive della madre che non voleva accettare che la figlia morisse così, che si lasciasse morire senza lottare neanche un po’, senza neanche riuscire a sopportare la vita, pur brutta che fosse. Jaele era brutta, brutta, brutta. I suoi capelli corti le ricadevano continuamente davanti agli occhi e le ungevano la fronte, unta com’era dagli schizzi del suo vomito quotidiano. I vestiti le ricadevano addosso come panni stracci su una gruccia e lei non aveva intenzione di nasconderlo: tutti dovevano vedere quanto schifo facesse, così magra, così sporca, così brutta agli occhi della mente e del cuore. Il cruccio vero di Jaele era che nessuno poteva impedire agli altri di amarla, e vederla morire era una condizione in cui metteva tutti a disagio, come se qualcosa fosse fuori posto nel mondo, una persona che sapeva farsi amare così tanto che aveva scelto deliberatamente di uccidersi, lentamente, con le proprie mani, autofagocitandosi. Si accese la quinta sigaretta alle 7.30 del mattino, si era fatta una doccia per purificarsi, si era addirittura lavata i denti, stamani, come un triste presagio. Arrivò una telefonata, doveva sbrigarsi e recarsi immediatamente all’ospedale, per parlare almeno col dottore, per spiegarsi, per dirgli che aveva intenzione di abbandonare tutto, sacca, day-hospital. Decise che forse era meglio sbrigarsi e recarsi immediatamente in ospedale prima che la venissero a prelevare a casa con l’ambulanza con l’intenzione di farle un bel TSO coatto e ricoverata di nuovo…no…non lo poteva permettere, mai più, e si decise a trasportare le sue gambe storte dritta in reparto. Parlò col dottore, arrivarono a un compromesso, fino a giovedì. Solo fino a giovedì. Avrebbe preso almeno l’integratore ogni mattina e per un’ora non sarebbe andata in bagno a vomitarlo. Se giovedì fosse scesa di peso avrebbe ricominciato il day-hospital con tanto di sacca bianca. La voglia di vomitare era enorme, ma DOVEVA farcela, doveva, questa volta, sopportare. Tollerare quest’altro liquido in corpo, liquido denso, calorico, sembrava fatto apposta per esser vomitato. Ce l’avrebbe mai fatta? Solo un quarto d’ora era passato, e il liquido si stava assorbendo piano piano nel suo corpo, grasso, adesso. Com’era brutta Jaele, e oh, com’era amabile. Si accese di nuovo una sigaretta dietro l’altra, pur sapendo benissimo che le regole del reparto lo vietavano chiaramente, ma gli infermieri quella mattina sembravano passarci sopra, come se lei fosse una presenza in più, inutile anche alle norme del reparto, un parassita della psichiatria. Adesso era passata mezz’ora, e Jaele si era messa a scrivere sul suo piccolo portatile che era la sua unica speranza, la sua unica via d’uscita dalla morte cerebrale: scrivere, la sua salvezza. Scrivere le faceva dimenticare la vita, le estirpava fuori tutta la rabbia che aveva contro di sé, contro il proprio corpo, scrivere poteva essere non più calorie, ma calore.

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Elisabetta Pendola

SEO specialist. Specialista SEO organica appassionata di cibo, alimentazione sana, colori e buonumore.

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2 commenti

  1. cazzo se hai ragione. ma perché non mi smuovo???

  2. roberta dice:

    permetti una sola parola… Scemenze! Ed ora il commento. Bel racconto forse ma sappiamo entrambe che non è così. Jaele non ha alcuna intenzione di morire, di lasciarsi andare alla autofagocitosi. Non è vero che sei tanto amata, sei solo molto rispettata. Non hai avuto la possibilità fino ad oggi di conoscere l’amore incondizionato. Chi sta vicino a te così come a Joele ha piena consapevolezza di ciò che accadrà e nonostante le tue continue bugie e manipolazioni continua a camminarti accanto senza nulla pretendere. Tu e il tuo Joele continuate a immaginare di essere sempre di fronte agli occhi degli altri ma non é così! Pertanto… Bel racconto ma non farlo intendere come autobiografia perchè ciò che ho letto è per gran parte invenzione, continua ad essere quella parte della vita emotiva che ti inventi e in cui credi per sentire di esistere… Perchè al contrario di ciò che dici e dimostri tu ti vuoi un gran bene. Bye la infermiera stronza

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