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Vorrei stare a chiacchierare con i medici ma i medici non ci sono per qualche strana ragione sono sempre in riunione. Vorrei stare a chiacchierare con i pazienti, anche quelli più autistici, più strani, più pazzi dei pazzi, ma non ci riesco, vorrei cantare ma non ho voce, laringe e faringe attaccate col superattack in una cassa di risonanza troppo stretta e ruvida dell’ pezzo dell’esofago lacerato che rimane, vorrei notizie ma non ho giornali, voci, radio, tv , vorrei lavarmi ma non c’è l’acqua calda da giorni, vorrei vedere un dvd ma il computer è usurato e il cd stanco di girare, vorrei camminare ma mi cedono le gambe, vorrei uscire ma il sole è ingabbiato, vorrei le chiavi ma sono tutte serrate, vorrei fumare, ma ci sono gli orari, vorrei come prima assaporare un tiro e pensare tra me che bell’attimo di gioia che semplice puro atto di felicità, ma era già passato, e non ci ho più pensato, tanto era breve, vorrei piangere ma ho le lacrime come cristalli duri rivolti all’indentro, vorrei non essere sempre presa dall’inquietudine di non saper cosa fare ma c’è, c’è, c’è! c’è sempre cose da fare e rimango io che non le faccio e basta, le penso a malapena le scrivo e poi le rifuggo. Attacco fili e spine per stare al computer ma mi rimanda decadenti immagini di persone morte, dei pazzi che si sono susseguiti qui dentro, dei pazzi che hanno leccato le mura, mangiato la merda, strisciato sul pavimento, mangiato i conigli e i topo morti, di quelli che hanno implorato, di coloro che volevano uscire, di quelli che sono stati legati con le cinghie, come me; sono in tanti, e mi augurano buone feste, hanno pasticcini golosi da offrirmi, hanno i sorrisi sempre pronti, alcuni di loro, sono vestiti di tutto punto ma qualcuno è a brandelli, l’odore è lindo, un corridoio e un salone ripulito dai mozziconi di sigarette al Patchouli mi rimanda a un carcerei in mezzo all’india, ma un carcere per pazienti ricchi, e qualcuno messo peggio che tra poco abbelliranno perché qui l’immagine è importante, sembra, e lo dimostrano i colori rossi ambrati vicini a quelli del sole, sembra ingabbiato ma mimetico tra quel trionfo,, mon sopporto le voci, quelle vere, non ho neanche la fortuna di essere schizofrenica, non sopporto i futili discorsi altrui, aberro il contatto fisico, mi sento sola e non cerco compagnia, ho bisogno di aiuto e cerco guai per i quali la soluzione non è l’aiuto ma l’ennesimo rimprovero, e un boia mi aspetta già con la sua accetta risplendente, è a torso nudo, e guarda minaccioso chi sta per lasciarsi andare. Vorrei lasciarmi scivolare la vita addosso, qualsiasi tipo di vita io abbia, trafiggere da quell’unico raggio di sole vero…vorrei che fosse subito sera, perchè vorrei davvero cadere nel sonno, passare ad annusare morfina e oppio ma questa volta non ci casco. Più. La cosa peggiore che mi può capitare è sopravvivere.

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  4. Il giorno 11 novembre del 1997 Veronika, ventiquattro anni, slovena, capisce di non voler più vivere e assume una forte dose di sonniferi. Salvata per caso, si risveglia tra le mura dell’ospedale psichiatrico di Villete, con il cuore stanco e sofferente per il veleno che lei gli h somministrato. In pochi giorni a Villeteveronika scopre un universo di cui non sospettava l’esistenza. Conoscemari, zedka, Eduard,persone cche la gente ‘normale’ considera folli, e soprattutto incontra il dottor Igor, che attraverso una serie di colloqui cerca di eliminare dall’organismo di Veronika l”Amargura’, l’Amarezza che la intssica privandiola del desiderio di vivere. Veronika spalanca così le porte di un nuovo mondo, un mondo che, attraversato con la consapevolezza della morte, a spinge, sorprendentemente, alla consapevolezz della vita.
    Fino alla conquista del dono più prezioso: sapere vivere ogni giorno come un miracolo. In questo straordinario romanzo, nella storia della giovane Veronika, Paulo Coelho riversa la sua ersonale esperienza, i ricordki di tre anni consecutividi ricovero in un ospedale psichiatrico, dove lo scrittore venne rinchiuso dsolo perhè considerato diverso.
    Paulo Coelho – Veronika decide di morire

  5. Betty…vedo che sei sulla strada giusta…percorrila…: Tutto il resto verrà da se….perchè ci son delle cose,inspiegabili,che magari ti fan rigare il viso di tristezza..ma quel velo di mancata gioia dovrà esser sempre coperto da un meraviglioso sorriso,quelli che fai tu!
    Perchè ad ogni sorriso falso ci sarà un pizzico di forza in più per affrontare le persone con più vigore e chi li vuole ti prende in qualunque modo possibile..senza sotterfugi e convenzioni!
    Impara da ciò che ti ha fatto piangere e dopo gioisci per l’amarezza di chi ti ha fatto male!

  6. perplessa e la penso come Ghost….facile dare la colpa agli altri, così si può pensare che noi non ne abbiamo e che siamo “o poverini” o che incompresi o che tutti gli altri sono stronzi o che siamo sfigati…
    non è così, sei tu che scegli per te e dove sei adesso è il risultato delle scelte che hai fatto in passato. la pazzia è una cosa bellissima e tu sai trarre il bello delle cose.
    solo che forse non ne hai voglia ed è più facile lasciarsi andare.
    un abbraccio 🙂

  7. dai Betty, tirati su! vorrei vedere altri Nimalini/Nimaletti!
    più grinta ci metterai e prima ne verrai fuori e potrai assaporare i momenti di vita VERA, non di sopravvivenza.
    un abbraccio

  8. La cosa peggiore che ti puo’ capitare non e’ sopravvivere!
    Imprimitelo bello grosso nella testa!
    La cosa peggiore e’ mollare!!!
    Ricaricati di idee positive e affronta la vita a testa alta!
    Coraggio!

  9. Ascolta Elisabetta, io sono esplicita con le parole, non mi nascondo dietro un dito, non ti porto frasi di dolcezza e applausi…chi lo fa, fa solo il tuo male, non fa che che alimentare la malattia. I “pazzi” sono fuori non lasciatemi qui, diceva Roberto Vecchioni…ma parlava dei Manicomi ( con la A maiuscola )…i tuoi Nimaletti sono belli, bello quello che scrivi, bello dare la colpa agli altri, bello dare di pazzo a chi pazzo non lo è….bello… Io sono più sincera e ti dico: datte na mossa ( anche se non sò de’ Roma ). 😛

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