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L'inconveniente di essere nati Post mortem

Jaele fuma e medita
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Jaele si svegliò con un’improvvisa voglia di fumare, non si era fatta neanche la doccia quella mattina, ma se la sarebbe fatta, nel corso della mattinata, perché voleva essere purificata dalla giornata precedente che era stata un disastro. Aveva persino rovistato nel secchio della spazzatura in cerca di qualcosa da vomitare, ma la tenevano sotto controllo, e gliela avevano sequestrata, e lei per non venire meno alla sua stessa autodistruzione aveva vomitato lo stesso quel niente che aveva sullo stomaco, forse i suoi stessi organi interni, forse si era vomitata anche tutto il cervello perché non capiva più niente e desiderava quella mattina essere tremendamente lucida, ricominciare da capo. La dottoressa le aveva raccontato una storia molto bella, non l’aveva cacciata via come un’ameba come altre volte, l’aveva abbracciata e baciata, forse perché la vedeva veramente in stato di morte imminente, e l’aveva pregata di non morire, c’era tanto tempo per morire, e c’era anche tanto tempo per vivere, se solo si fosse per una volta raccontata la verità, senza prendersi per il culo, senza prendere per il culo nessuno. Le risorse le aveva, ma le teneva tamponate dentro una se stessa satellite e parassita, autofagocitante e rabbiosa. Era tanto più facile esprimere la sua sofferenza sputandola fuori in una tazza del cesso, era molto più difficile convivere con le sue domande, con il suo incessante indagare del perché del suo dolore. Forse avrebbe dovuto smettere di cercare risposte, nei primi posti logori che trovava dentro se stessa, era molto più gratificante e dignitoso e onorevole aspettare di non avere risposte ma di essere pronta lì a indagare, incessantemente, senza tregua; perché la vita on ha tregua, e non la si buttava via nel cesso in cerca di un sollievo facile ma effimero e nello stesso pesante come un macigno che la comprimeva fino a farla implodere incentrata com’era su se stessa. I suoi occhi incavati non lasciavano dubbi, le sue occhiaie erano spaventose, il suo cuore batteva a stento e il suo stesso sangue pulsava a fatica, non sarebbe stato meglio usare il cervello nutrendolo di nuovo come una bambina reincarnata che ha bisogno di amorevoli cure, invece che di continui schiaffi a lei, a Betty, a chi le voleva bene che la vedeva e quasi rassegnata la inquadrava già in una tomba sfregiata con la scritta: morta per mancanza di coraggio. L’insulto peggiore che poteva capitare a un vivo, ma anche a un brindisi dedicato a un morto. Esisteva forse anche una forma di sano egoismo che faceva sì che ci si sentisse talmente soddisfatti da avere ancora molto da dare agli altri.

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Elisabetta Pendola

SEO specialist. Specialista SEO organica appassionata di cibo, alimentazione sana, colori e buonumore.

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