I Feel Betta

Novità non erano previste nel suo calendario. Appuntamenti non ne aveva da mesi, non che fosse importante denominare quelle sue fugaci apparizioni in locali pubblici come veri appuntamenti. Semplicemente, ululava su twitter che si sarebbe presentata a questa o quell’altra presentazione di libri che non avrebbe mai letto ma che millantava di conoscere a menadito riuscendo perfino a dilungarsi scommettendo sulla percentuale di vanità di ogni autore e arrampicandosi sugli specchi di parole vuote di cui sicuramente era infarcito quel filone di letteratura che si diramava in tante mediocri antologie dalle accattivanti copertine, questo doveva ammettere, lorsignori erano bravi. Si travestiva come una groupie, spesso indossava un costume cosplay e si appoggiava al bancone ordinando un insolito analcolico, certo, attirava l’attenzione, dirottava la conversazione, puntava molto sull’effetto burlesque delle sue guance avvampate mentre elemosinava un posto a sedere sulle gambe di un autorevole sconosciuto, ma era vergogna, non riusciva a fingere a se stessa, a casa si comportava come la volpe sotto la vite. Era una vita tagliata male e quello puzzava di non essere il suo destino, non riusciva a rassegnarsi allo scorrere del liquido latteo e velenoso dell’invidia che fuoriusciva in modo vistoso dal padiglione auricolare, e colava dagli occhi, macchiava il grembiulino, restava dieci minuti, concedeva i dati dell’account, una riverenza fumettistica, strappare un sorriso era più difficile che strappare le pagine del contratto con l’inferno che lei chiamava anonimato.