Chi non c’era alla notte bianca? Dai, chi non è morto ieri? Chi non risorge il primo maggio? E’ tutto facile da fare il 1°, smettere di fumare, smettere di bere, smettere di mangiare. Non c’è nemmeno una buona scusa per litigare, in famiglia sei rilassato perché non vai al lavoro, sul lavoro sei rilassato perché non ci vai. Invece ho litigato col babbo al telefono perché sono una sconsiderata che un giorno se ne pentirà. Con la mamma stiamo facendo i tarocchi con le carte Disney della Conad e il futuro letto un po’ scherzando dalla rupe del Re Leone si prospetta nebuloso come la prossima partita di domino. Ho ritrovato nel sottoscala un package di tessere da gioco di ottima marca totalmente inutili, un vezzo acquistato a caro prezzo sulla 5th avenue che ho pensato di regalare al mio studioso di scacchi che ha fatto fuori in due mosse la sua regina migliore: 1)tirarsi indietro davanti al mio reggiseno pop-up 2) non scegliere me. E io me ne sono andata a parlare di Vanni Santoni al parco con uno che come gusti di gelato prende Addormentasòcere e pistacchio. E che però pubblicherebbe il mio libro. Se solo ne avessi scritto uno. Sescrivoilblognonscrivoilromanzo. Sescrivoilromanzononscrivoilblog. Sono indecisa su quale delle due opzioni influisca più negativamente sul suicidio definitivo della letteratura universale versione 3.0. Non riesci proprio a scegliere e rifletti male, approcciarsi alle parole che sanciscono l’inizio (l’inizio è fondamentale) del romanzo d’esordio comporta la circoncisione dei sensi e io non so se sono pronta a fare la Santona, definitasi anche sindrome da Public Relations, cristo, sono stata Borderline fino a tre mesi fa! arrivo neanche a tre righe dell’introduzione che penso, ehi, questo potrei proprio scriverlo nel blog, o se scrivo un post mi prendo a schiaffi perché penso cavolo questo avrei proprio dovuto scriverlo nel libro. In ogni caso, non c’è niente di serio in costruzione, da quando ero una disperata dandyna-che-voleva-fare-la-blogstar ed elemosinava attenzioni attentando all’integrità familiare di Gasparri (ma poverino mi ero proprio incaponita), inabissandomi nell’incubo della gelosia voyeristica letteraria delle relazioni (e dei manoscritti) altrui, Lo-li-tà, Dan-dy-nà, il mio lontano cugino mi lanciava gli anatemi e rinnegava (quello fa ancora) il conto alla rovescia del mio tentato suicidio (correva il 2002, eravamo sì e no in quattro gatti disparati tra splinder e blogspot e una di numero aveva il dominio.com e praticamente senza fare nomi era Giulia Blasi, che caso vuole avesse anche già pubblicato su carta, e che mi odiasse, e poi gli altri sono spariti, e tutti sono diventati grandi, hanno perso lo smalto e la voglia di trastullarsi sul web e lei ha capito che in TV ti truccano meglio) poco e niente è cambiato nei miei comportamenti, dieci anni sono passati e tra poco ricorre l’anniversario della prima volta che ho fatto l’amore, farò una veglia funebre, per dire che in tutti questi anni in cui mi sono sentita una scrittrice maledetta in realtà non ho prodotto nulla, concluso nulla, non ho nemmeno un libro a cui dare fuoco, mi sono solo ammalata della malattia più stupida, ipocrita e vergognosa del 20esimo millennio, sono arrivata a essere uno stambecco di 30 chili, dieci anni fa almeno avevo dei contorni personaggeschi, ero una diciottenne mitomane, socialmente inattiva, un germoglio letterario incompreso senza uno straccio d’uomo ah ecco, sono ancora innamorata dello stesso uomo (e sogno di notte tutti gli uomini che ho mancato), sono una prugna secca letteraria che flirta con ospedali e carceri, tracanno aranciate che sanno di medicina e medicine che sanno di aranciata, leggo la Oates a voce alta rannicchiata contro il seno della mamma modellando la voce inequivocabilmente adulta e cercando espressioni del viso che presto mi doneranno le rughe e forse ho imparato a lamentarmi meglio. Come sarebbe bella un’autocommiserazione seria e disciplinata perché hai un libro già scritto nel cassetto che nessuno ti ha pubblicato. Le scatolette del gatto traboccanti di cicche fumate a metà, il frigorifero vuoto che odora di limone rancido, la televisione che martella un loop macabro di un’anoressica che ti ha copiato la vita e poi ha vinto al grande fratello, e dando un senso al gruppokiller dell’alcolismo, sarò troppo nauseata dall’esistenza anche per farmi un drink. Fico, no?
Dimmi tutto!