L’aveva accusata d’aver bevuto ma era stato smentito dal fatto di non aver trovato nessuna bottiglia in casa né fuori dalla terrazza e il test della saliva era ovviamente risultato negativo, erano due settimane che non beveva e non aveva nessuna intenzione di farlo adesso che stava così bene. Forse il babbo era spaventato da questa sua improvvisa euforia cominciata nel mese di dicembre ma anche la dottoressa gli aveva spiegato che effettivamente poteva essere l’aumento del dosaggio del farmaco che, assunto appunto in assenza di alcol, sprigionava la sua massima efficacia terapeutica. E lei si scopriva improvvisamente ottimista, indaffarata, utile, importante. Stavano facendo l’albero di natale ricoprendolo di mille lucine a intermittenza che si accordavano a quella del cuore e spruzzandolo di neve bianca, attaccavano gentilmente le palline piccole viola e verdi e quelle un po’ più grosse argentate e dorate e poi sistemavano con cura i biscottini glassati e gli angioletti sul puntale, era un albero graziosissimo e grande -riempiva tutto un angolo del salotto- e leggermente nostalgico quando si spegnevano tutte le luci intorno, lei era così felice di tutta l’atmosfera festosa e delicata che stava creando nella sua cuccia che il babbo non poteva crederci, o non poteva tollerare tanto entusiasmo che aveva subito pensato a qualche bottiglia nascosta e invece era stato smentito dai fatti, e non riusciva ad ammetterlo, non ammetteva mai i suoi sbagli, lui, era sempre lei a doversi scusare anche di qualcosa che non c’era. La sentiva come un’ingiustizia e un dispiacere tremendo la colse perché era con la coscienza a posto e non voleva a tutti i costi farsi rovinare quella magnifica giornata di preparativi e aspettative, perché avrebbero dovuto essercene altre, e altre ancora, in un climax di benessere che doveva coinvolgere tutti, non spaventarli, tanto erano abituati a vederla star male, che non avevano la più pallida idea di come rapportarsi a una persona veramente, forse farmacologicamente, felice. Li aveva spiazzati.
Aveva fatto colazione con la pattona di segale e cachi inzuppata nello yogurt di soia e non ci aveva minimamente pensato a vomitare, nonostante fosse da sola, stava troppo bene e aveva troppe cose importanti da fare per buttare via un giorno che poteva diventare il massimo della produttività, della creazione, e dunque gioia e soddisfazione, doveva correre qua e là per la città evitando le pozzanghere con l’ombrello in una mano e la sigaretta nell’altra doveva solo pensare a non bagnarsi, questo era il suo compito di oggi, a piccoli passi, levarsi intanto il pigiama, spengere il white album, smettere di fissare come un’ipnotizzata il luccichio delle luci che si riflettevano sulle palline colorate, alzare il culo bucherellato da quella sedia senza cuscino, spegnere il pc, vestirsi di roba nuova e profumata, lisciarsi i capelli, infilarsi il cappottino rosso, o il piumino blu col cappuccio che faceva tanta paura al cane, e affacciare la testa in inspirazione fuori dal portone prima d’espirare e tuffarsi per strada e vedere le composizioni di luce sulle altre terrazze, che carine, pensò, ma il suo era diverso, nel suo ogni pallina portava un fiocco d’amore.
Dimmi tutto!