Il giorno del compleanno
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Si sfila la matita appuntata tra i capelli e in un attimo le ricadono sciolti sulle spalle contratte dopo l’ultima seduta dallo psicanalista, è in ascensore e non vede l’ora di raggiungere il piano terra per fumare una sigaretta, la quarta da quella mattina così piovosa di lacrime senza senso. Va dallo psicanalista quattro volte la settimana e per quattro volte la settimana la sua parlantina si anima di personaggi e di storie. Non ha genitori, non ha figli, né fratelli o sorelle, è tutto il grande insieme di queste assenze a renderla sola, e così popolata dai fantasmi, amici immaginari con cui conversa a specchio durante le lunghe giornate di un autunno che non comincia mai, di quelle nuove iniziative, percorsi intrapresi, linee di autobus e treni da acciuffare. Si sente sola e fuma, fuma contando i passi che le rimangono alle scale di casa, la sua casa piccola, polverosa, centrale, disordinata, una culla d’ozio a tempo perso, che anima e arreda coi pochi soldi concessi dal ministero della salute mentale, i soldi che paghereste voi, per avere una mente come lei, e tanto tempo da sprecare. Si sfila via il maglioncino di lana perché l’estate di san Martino è arrivata in anticipo quest’anno, e sebbene dallo psicanalista l’aria condizionata funzionasse a pieno ritmo, appena uscita dal portone l’avvolge un tepore che le mescola alle lacrime che ha versato sul divanetto, anche le gocce perlacee d’un lieve sudore erbaceo. Si strofina la fronte con la mano, non avendo a disposizione i fazzolettini di carta nella borsa, una borsa in pelle così lisa e consumata riempita fino a traboccare di pacchetti mezzi vuoti di sigarette, gomme stantie, bottiglie vuote, penne e fogli di carta straccia su cui appunta piccole note delle spese e deboli poesie sulle lunghe attese alle fermate del tram. Il portafogli è perennemente vuoto, ed anche se fosse pieno, non saprebbe di che farsene dei soldi, visto che se ha soldi, li spende in bere, e per proteggersi da se stessa ha chiesto ufficialmente alla badante di non concedergli nemmeno uno spicciolo per un caffè, visto con quanta facilità scoverebbe da bere anche in una landa desertica del polo sud. Le sedute dallo psicanalista non l’aiutano, è sempre distratta, immersa nei suoi pensieri conturbanti, nelle sue psicosi, e più ne parla apertamente, ma anche se le tace, più sembrano affollarle il cervello le paranoie, le manie, le ossessioni, i numeri, le scelte che può o non può intraprendere. Non le hanno diagnosticato nessun disturbo specifico, nel presente, per questo può girarsene a piede libero per la città, dopo quasi un anno di estenuanti ricerche scientifiche e psicologiche su di lei, è adesso un cane sciolto, sulle spalle di nessuno e di tutti, mangia e beve e fuma, riordina la stanza che poi mette a soqquadro solo per trovarsi qualcosa da fare, sporca i piatti per lavarelli, si spoglia per rivestirsi, si agita per calmarsi e si calma per aver occasione d’agitarsi di nuovo. Si rassicura sapendo che proverà ancora paura, dell’ascensore, delle persone, dello psicanalista, della morte, delle rassicurazioni e del confrorto. Esce di casa vestita in tuta e ciabatte, ma a volte si agghinda elegante, per incontrare qualche uomo, nessuno che possa definire amico, con l’intento di racimolare soldi o cose da accumulare, la sua casa un tempio della conservazione, una tana per il letargo. E i fogli appuntati di aforismi, copiati, storpiati, spesso con uno smiley sorridente o corrucciato accanto a denotare l’espressione che si affaccia sul suo viso quando lo ripete a bassa voce o se lo detta per attaccarlo al muro. Non ha quadri, né stampe, né raffigurazioni artistiche, non ha la televisione, non ha libri, né ferri e maglie o album di collezioni, né eschi ed ami, né fucili né un computer né delle carte da gioco, ci si domanda che cosa faccia tutto il tempo a parte -forse- mangiare, -forse- dormire e sicuramente scrivere post-it. Vive di ossessioni, ma senza passioni, è un disturbo a cui si può dare un nome, finché non uccide nessuno e comunque non ha più nessuno e non vuole nessuno e non sarebbe in grado di avere nessuno accanto che abbia un anima? Ha poche doti, poca pazienza e poche qualità, certo non è bella, è poco furba, ma poco permalosa, incline alle fregature, ogni lacrima le sfiora il viso senza rigarla veramente, ogni ferita la fa sanguinare, ma sembra non lasciare istruttive cicatrici, eppure non ha simpatia per l’arte perché spesso l’arte è fatta d’antipatici cicatrizzati, di sfiancati dal lavoro o dalle passioni, o anche dai vizi, quand’anche abbiano una logica, ma lei non conosce riposo, fuma e sorbisce camomille ma non trova quiete, è un continuo sbalzo d’umore, un continuo cambiare idea, ideare di cambiare idea, progettare di cambiare opinione, vita, comportamenti, abitudini, progettare di essere diversa così ininterrottamente da non avere il tempo neanche di essere quella che neanche è. Si pettina in capelli in questo momento, si intreccia e streccia continuamente la coda di cavallo, si mette e toglie il maglioncino perché l’unica cosa che percepisce a livello sensoriale sono il caldo e il freddo, e il sonno, e la fame, e non sa per chi farsi bella, ma in un attimo è già nella doccia, a lavarsi via tutto quello che le prude addosso, gioielli, peluria, pelle secca e paure, senza mai scorticare il nocciolo della questione: il fatto e controfatto di essere una Signora senza destino, che sta per compiere un età in cui tutti gli altri più o meno hanno fatto del loro una ragione, e hanno tirato un sospiro di sollievo quando hanno capito che quella, bella o tremenda, sarebbe stata la loro vita, e ne avrebbero avuta almeno Una.

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Una risposta a “Il giorno del compleanno
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  1. Avatar silvia
    silvia

    mi piace come scrivi.. e come mi sono ritrovata in tante parti di questo racconto. Non ti consolerà, io ho 38 anni, un marito e una figlia di 7 anni e ti assicuro che no, non faccio parte di quelli che hanno tirato un sospiro di sollievo. Anche io mi tolgo e rimetto il maglione. Ti voglio bene, non mollare.

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